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di ANTONIO LUONGO
Che il PD sia ad un tornante difficilissimo della sua vicenda è fuori discussione, ma la vera e propria stroncatura dell’operato di Pierluigi Bersani, proposta dall’amico e collega Salvatore Margotta, è tendenziosa e ingenerosa. La realtà convulsa e caotica del partito non l’ha creata Bersani, che semmai vi si sta applicando con una pazienza ed una umiltà davvero encomiabili, e riguarda più la mitizzata autonomia del territorio che la funzione dirigente nazionale.
Né vale enucleare la realtà del Pd lucano, che non è popolato da marziani e che sarebbe piombata nella medesima situazione se non ci si fosse preoccupati di disinnescare le tensioni di un congresso ad altissimo rischio, impedendone un esito prevaricatorio e lacerante ed esorcizzando le latenti pulsioni autodistruttive.
La convergenza unitaria realizzata intorno alla segreteria Speranza è una prova di lucidità e di responsabilità di cui va dato atto a tutte le componenti interne che, fuoriuscendo dal gioco estenuante dei tatticismi, hanno convenuto sul dovere politico e morale di subordinare le convenienze e le aspettative di parte all’interesse primario del partito sul quale ricade la responsabilità di costruire e guidare l’alleanza di governo; e che l’hanno fatto applicandosi – rubo a Rocco Colangelo un’immagine da lui adoperata in un’assemblea dell’area Adduce – una specie di “fasciatura ortopedica”, una correzione forzata delle deformazioni e tentazioni settarie, una nuova disciplina di relazioni interne improntata all’equilibrio, al rispetto, alla condivisione.
Operazione sino ad oggi perfettamente riuscita, se è vero che Pd e centrosinistra lucano brillano per la loro lontananza dalle poco commendevoli pantomime di tante altre situazioni locali e se è vero che Roberto Speranza si sta guadagnando l’apprezzamento generale per l’intelligenza, la maturità e lo stile con cui sta affrontando la delicatissima fase di avvicinamento alle elezioni regionali.
Il che non significa, naturalmente, che il Pd debba limitarsi semplicemente a registrare i punti di tenuta delle mediazioni e dei compromessi dentro e fuori del partito, e riproporre Vito De Filippo alla guida della Regione come primattore di una replica priva di ogni novità e di ogni sorpresa. La transizione da un ciclo politico ad un altro non è ancora completata ( e l’accentuata instabilità dei soggetti politici regionali lo dimostra ampiamente), ma il Pd non può rinunciare a tracciare il solco per accelerare il cambio di fase recuperando, o rafforzando, una sintonia con i sentimenti diffusi dell’opinione pubblica.
Abbiamo, sì, deciso al congresso di abbandonare la pretenziosa suggestione veltroniana del partito “a vocazione maggioritaria” ed abbiamo riscoperto e rilanciato l’idea del “partito-coalizione”. Ma l’apertura alare ad un coinvolgimento ampio e pluralistico di formazioni riformiste, moderate e radicali non intende in alcun modo riscrivere le cronache del governo Prodi che ben conosciamo e che abbiamo resettato: deve essere chiaro che l’alleanza non consentirà trasformismi e nomadismi, anzi che, pur nel rispetto dell’autonomia di ciascuno, essa punta consapevolmente al superamento della attuale frammentazione pulviscolare e, per quanto attiene alla riforma della legge elettorale, non intende fermarsi alla semplice soppressione del listino.
Quanto alle candidature del Pd, penso che la ricerca del necessario equilibrio tra le componenti interne e le aree territoriali non debba impedire la composizione di una lista aperta e contendibile, come piace dire al nostro segretario regionale, al quale si può chiedere di non inseguire demagogie nuoviste, ma non di disattendere una linea di rinnovamento che non è una bandiera di parte, bensì un’esigenza fisiologica del partito.
Io penso che la condotta unitaria inaugurata a conclusione del congresso resisterà a questo passaggio delicato. Anche perché, per la inevitabile transitorietà della geografia congressuale e per la naturale evoluzione della dialettica interna, prima o poi la “fasciatura ortopedica” dovremmo togliercela per addentrarci con coraggio in un processo di ricomposizione unitaria reale, cioè di una piena condivisione della nuova impostazione strategica dentro la quale il Pd dovrà ridefinire la sua funzione e la sua missione al servizio della Basilicata.

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