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di ANDREA SPARTACO
AD APPENA tre chilometri dalla sede della presidenza del Parco del Pollino, sul confine calabro-lucano, c’è una bella centrale per produrre energia. Attiva per decenni, almeno per ora, sembra essersi assopita tra i boschi. All’inizio andava a lignite, doveva sfruttare una risorsa territoriale, poi sono arrivati gli oli combustibili e infine, l’idea delle biomasse, con una autorizzazione della Regione Calabria avallata, dopo un lunga trattativa, dalla regione Basilicata, nella logica di nuovi affari ecologici e dei piani ambientali sottomessi al sistema dell’energy management (vedi box nell’altra pagina).
«Costo – ci dice Nedo Biancani, consulente per la Biomasse Italia, una delle società che gestisce due delle tre centrali calabresi, l’altra è in mano al gruppo Marcegallia – 50 milioni di euro. È ferma da 4 anni. Ha perso 12 milioni di euro l’anno. Praticamente sono andati parecchio oltre aver già bruciato il valore d’investimento».
E sì, in fumo altri 48 milioni di euro. Una centrale contestata da comitati di cittadini e associazioni per i danni provocati in passato e per quelli futuri. Per la ricaduta sul territorio delle emissioni da combustione a lignite prima e oli poi alcuni lavoratori e non solo, hanno sviluppato il cancro ai testicoli.
Il nesso causale non è accertato, e «non è mai stata effettuata da parte degli organi competenti nessuna indagine epidemiologica» ricorda Biancani, come spesso accade quando gli interessi economici in gioco sono più elevati dei costi in salute.
Oggi Calabria e Basilicata stanno cercando di riaprirla. Biancani racconta come in Calabria, inizialmente, per le materie prime le società si siano servite di cippato di legno, ma ben presto, per mancanza di risorse sul territorio ci si sia approvvigionati all’estero.
«Nord e Sud America, Indonesia – continua – dove ovviamente si deforesta. Impianti che sopravvivono solo se hanno contributi dallo Stato, prova ne è che sono nati con il Cipe 6 (Comitato interministeriale per la programmazione economica ndr) che ha acconsentito l’ammortamento dei costi. Dal punto di vista ambientale è singolare che si disboschi per alimentare una centrale, inoltre c’è da tener conto delle emissioni di polveri sottili, con problematiche diverse a seconda quello che si brucia. Pensare poi a una centrale da 40 Mw nel mezzo del parco del Pollino è assurdo, ma fa parte di una precisa logica».
Quale? «Prima di tutto la Calabria ha già tre centrali, con un altra di tale portata avrebbe bisogno di 500 mila tonnellate l’anno di biomasse (Enel dichiara nel 2002 di poter reperire 853.900 t/anno solo per il Mercure ), a meno che non si vadano a reperire risorse in Australia oppure si usi legname verniciato preso tra i resti di qualche uragano.
Se facciamo i conti il parco di suo produce 100 mila tonnellate l’anno, diciamo per 10 Mw, girando per la regione ne recuperiamo altri 10, per arrivare a quella potenza bisogna andare fuori e si deve pensare alla logistica, il Pollino non è proprio dietro casa».
Una logica in cui rientra un affare ghiotto. Infrastrutture di comunicazione per il trasporto, intermediari di rifiuti, colture di piante utilizzabili per la centrale, «impossibili tra l’altro – prosegue – in una zona con un clima inadeguato».
Secondo i comitati ci sarebbe un via vai di tir con una media esorbitante. Ottanta al giorno sulle principali strade di collegamento necessarie ai cittadini di Laino Borgo, Castello, Castelluccio, Rotonda, Viggianello e Mormanno che interverrebbero drasticamente sulla mobilità verso luoghi di lavoro, ospedali, scuole, uffici, negozi, aziende, e un notevole impatto sul parco e sull’ecosistema fluviale Mercure-Lao, tutelato come Riserva integrale.
Poi la preoccupazione per i Cdr (Combustibile derivato dai rifiuti ndr), visto che rientra nel concetto di biomassa. Per le associazioni sono proprio i rifiuti a rendere a Enel economicamente vantaggiosa l’operazione. Oltre ai guadagni sull’energia prodotta, riceverebbe infatti l’utile per lo smaltimento. La centrale, fanno sapere, diventerebbe per dimensioni un enorme inceneritore in grado di soddisfare le richieste di buona parte del Mezzogiorno.
Un “funerale” per la valle del Mercure e probabilmente per il parco. E quale altro potrebbe essere l’investimento? La stessa relazione Rabitti-Casson del 2006 sulla centrale pone l’attenzione sul fatto che in Calabria le centrali a biomassa stanno già riscontrando molte difficoltà a reperire il combustibile e ricorrono a Cdr per funzionare, ingenerando ulteriori problemi di carattere ambientale. Ma la vicenda è diventata una soap opera ecologica i cui retroscena descrivono il contorto affarismo in voga tra pubblico e privato. All’inizio il presidente del parco del Pollino, Domenico Pappaterra, chiede a Biancani d’occuparsene in via informale. Biancani incontra i dirigenti Enel. Pur di riaprire la centrale acconsentono a ridimensionare la potenza in base alle esigenze territoriali. Più consone a garantirsi l’appoggio di comitati e associazioni. Più consone a recuperare dell’affare il minimo.
Pochi giorni dopo si reca da Giancarlo Viglione, allora capo gabinetto del ministero dell’Ambiente.
«Arrivai a lui tramite un comune amico – racconta – perché lucano anche lui. Sottoposi il problema Mercure e la risposta fu che era un problema del Parco. Il bello fu che era anche commissario dell’Apat (Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici ndr). Scrissi così al presidente lucano dei Verdi, Franco Mollica, descrivendogli quello che si voleva fare e che la provincia di Potenza poteva dire la sua, visto che l’area è ubicata geograficamente nel territorio lucano. Rincontrai il presidente del parco per dirgli di fissarmi un appuntamento con il presidente della Provincia di Cosenza, Gerardo Mario Oliverio. Non mi ha mai ricevuto, nonostante le insistenze. Poi ho scoperto perché».
I comitati continuano a denunciare l’assenza di richieste di pareri o consultazioni agli enti e cittadini lucani, e come l’Ente parco abbia autorizzato e addirittura riperimetrato lo stesso escludendo un’ampia area della valle, sede di un lago pleistocenico, d’un importante sito archeologico, di giacimenti fossiliferi e luogo di passo per numerosi specie di uccelli migratori. Biancani intanto rincontra Enel. Occasione in cui viene stilato un protocollo che dettava le nuove condizioni. «Scendere tra i 10 massimo 15 Mw – ci dice – reperire materia a livello territoriale per un raggio non superiore ai 100 km, creare una commissione aperta ai comitati cittadini per il monitoraggio, e soprattutto, nel momento in cui le biomasse non fossero disponibili l’impianto si sarebbe fermato per il nuovo accumulo. Documento avallato e firmato dal sottoscritto e da un ingegnere Enel delegato da Sandro Fontecedro, allora direttore della Divisione generazione ed energy management Enel (attualmente in vista per progetti e iniziative del Piano ambientale Enel ndr). E pensare che sull’Amiata questi signori permettevano che si scaricassero rifiuti dove pareva, altro che piani ambientali». Non va meglio al Mercure. Nel 2005 in sei mesi il Comando dei Carabinieri di Laino Borgo effettua diverse operazioni (vedi L’anno dei sequestri). Motivi? Interramento di rifiuti, contaminazione di falde acquifere, mancata messa in sicurezza amianto, trasporto di rifiuti non autorizzato. La lontra intanto, animale tutelato da svariate leggi, inizia a nuotare in cattive acque, come alcuni tecnici dell’Enel, del Comune di Laino, della provincia di Cosenza e l’ex presidente e direttore del Parco del Pollino, che sono sottoposti a indagine da parte della Procura della Repubblica di Castrovillari. Ma la storia energia sul Mercure continua a essere riscritta dalla nuova management school, quella dedita appunto ai piani ambientali. Biancani ripropone la questione a Gianfranco Dangelo, Mollica, Pappaterra, ai comitati. La Provincia di Cosenza intanto va avanti da sola nelle conferenze di servizio per riaprirla a 40 Mw. Nonostante i comitati avessero iniziato a chiedere «perché non farla a una potenza ridotta, vista la disponibilità dell’Enel, e quale interesse ci fosse ad ampliarla», si voleva procedere, e le istituzioni insistevano per questa via. A questo punto i comitati chiedono quali promesse coprissero le manovre in corso. In una e-mail inviata al sindaco di Rotonda Biancani parla di tentativi fatti dal presidente della provincia di Cosenza al fine di far saltare tutto, avendo già promesso l’autorizzazione all’Enel. Garanzie politiche, niente altro. Da quel momento la situazione si ribalta. L’accordo, dicono dall’Enel a Biancani va rivisto. Per Enel a Biancani non rimane che seguire l’Aia (Autorizzazione di impatto ambientale ndr). «Così mi volevano pagare l’incomodo», precisa. Due giorni dopo, nuovo ribaltone. Enel comunica che non se ne fa più nulla. Il nuovo responsabile dell’area Business energy management della società, Gianfilippo Mancini, a quanto pare, aveva avuto le giuste rassicurazioni dal presidente della provincia di Cosenza, proprio quelle che voleva sentirsi dire. «L’autorizazzione ci verrà concessa così come l’abbiamo chiesta – ribadiscono a Biancani – gli accordi sono finiti qua». Perché dunque una produzione d’energia per 40 Mw quando il proponente era disposto a 15? «Qualcuno – chiude – ha assicurato».
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