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di ROCCO PEZZANO
POTENZA – Finora si erano limitati a impallinare uccelli, lepri, al più un cinghiale, ma ora le prede ambite dai cacciatori sono di ben altra taglia e importanza: i parchi naturali.
Il Partito “Caccia – Ambiente”, nato in Campania e allargatosi a tutta Italia, vuole cancellare dall’elenco delle aree protette italiane il Parco della Val d’Agri – Appennino Lucano – Lagonegrese.
Nel carniere ha già un altro parco, di dimensioni più ridotte: quello dei Monti Lattari in Campania. Cancellato – sulla carta – dopo una battaglia svoltasi non in una brughiera ma nelle aule del Consiglio di Stato.
Il motivo è semplice: nei Parchi nazionali non si può cacciare («Ma si può estrarre petrolio», commenta sarcasticamente Angelo Dente, segretario di “Caccia – Ambiente”). E siccome una legge nazionale – la 157 del 1992, cosiddetta “legge sulla caccia” – stabilisce che non si possa vietare ai cacciatori l’ingresso a più del 30 per cento delle aree agro-silvo-pastorali di una regione, l’avvento del Parco Val d’Agri andrebbe ben oltre questa percentuale, dunque sarebbe fuorilegge.
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La battaglia legale del partito delle doppiette ha fatto di recente un salto in avanti. A favore proprio dei cacciatori.
La Regione Basilicata aveva proposto ricorso, chiedendo che la questione venisse spostata dal Consiglio di Stato al Tribunale amministrativo regionale.
Il Consiglio di Stato – il 21 aprile scorso, ma l’atto è stato depositato il 23 luglio – ha dato torto alla Regione Basilicata (condannata a pagare anche le spese legali per 1.500 euro).
Ovviamente si attende il giudizio di merito. E lì il Parco Val d’Agri potrebbe svanire (sempre sulla carta, va sottolineato) com’è svanito – con una sentenza del Consiglio di Stato – quello dei Lattari. Anche se poi l’ente gestore dell’area protetta che forma la penisola sorrentina è ancora lì al suo posto. Ma in Campania la polemica è scoppiata e Valente ha intimato alla Regione di non multare più i cacciatori che entrino sui Monti Lattari e di smantellare i cartelli di divieto entro trenta giorni, dopo i quali procederà a formale denuncia alla Procura della Repubblica competente.
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Se si cerca il responsabile lucano di “Caccia – Ambiente” salta fuori il nome di Andrea Summa di Rionero. Il quale conferma. Ma spiega anche di non essere stato più contattato da oltre un anno. «Forse hanno scelto un altro responsabile», ipotizza.
Summa conferma per sommi capi quelle che sono le notizie diffusesi su internet.
E’ un “purista”, ossia caccia per due mesi le quaglie e per tre le beccacce. Nient’altro. «Non mi piacciono i “cinghialai” – dice – perché vanno a caccia solo per la carne. Io no: a me piace camminare nella natura».
Ma Summa è un cacciatore quasi pentito. Se gli si chiede conto di un’attività che per sport porta alla morte di esseri viventi, non rimanda al mittente l’accusa: «Effettivamente – dice – stavo proprio pensando di appendere il fucile al chiodo. Hanno ragione gli animalisti: è una lotta sicuramente non ad armi pari fra cacciatore e bestiole. Io, peraltro, sono iscritto al Wwf».
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Di tutt’altra pasta l’avvocato Dente. Il partito Caccia – Ambiente l’anno scorso stava per presentarsi alle elezioni provinciali. L’accordo con il Pdl è saltato quando gli attivisti hanno ritenuto che sia centrosinistra che centrodestra stavano remando contro gli interessi dei cacciatori. Si sono ritirati, in attesa di presentarsi alle prossime votazioni.
Nel frattempo lottano. Sono 250.000 in tutta Italia – su un parco-doppiette che conta 850.000 persone – e non amano gli Atc, Ambiti territoriali di caccia: enti che gestiscono i territori in cui si può sparare. «Io sono quasi cittadino onorario di Moliterno – racconta Dente – ci spendo ogni anno 300 euro di canestrato. Ma vi sembra giusto che debba pagare cento euro al mese per andarvi a caccia? E’ una politica che non ci piace e che combattiamo: forse è per questo che le associazioni di cacciatori ci isolano».
Divagazioni sul tema. Sulla questione principale, il Parco della Val d’Agri, spiega: «E’ molto semplice: in Basilicata c’era già il 29 per cento di aree protette, il limite, lo ricordiamo, è 30 %. Con il Parco si arriva al 67 %. Non c’è altro da dimostrare».
Non ha paura, Dente, di essere ricordato un giorno come il nemico giurato della natura? «Il Parco ci dev’essere – risponde – ma rispettando le leggi. Ossia, deve salvaguardare la flora o la fauna. Può spiegarmi Alfonso Pecoraro Scanio, ex ministro a cui dobbiamo il Parco, cosa ci sia da salvaguardare sul Sirino?».
La battaglia va avanti, i cacciatori forti di un’attività che ogni anno muove 60 milioni di euro in Italia. Bisognerà vedere Regione e il costituendo Ente Parco quali armi tireranno fuori contro le doppiette. E le carte bollate.
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