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Una sanzione amministrativa per quanti pagano il cosiddetto “pizzo”, la “tassa” che commercianti e imprenditori versano mensilmente alla mafia. La proposta è di Francesco Sulla, assessore regionale alle Attività produttive, per rompere il legame tra vittima e carnefice, tra taglieggiatore mafioso ed imprenditore ricattato. Una proposta che Sulla vuole inserire nelle norme regionali. Un’idea fatta propria ed approfondita oggi al convegno di Firenze «Toscana e Calabria unite contro il racket» anche dall’ex procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna, dal sostituto della procura nazionale antimafia Alberto Cisterna, dal vicepresidente della commissione parlamentare antimafia Luigi De Sena e da numerosi esponenti delle associazioni di volontariato e di amministrazioni locali che sono intervenuti per dare vita ad una ‘rete civica di solidarietà alle imprese colpite dal racket’.
L’iniziativa – informa una nota – si basa sui contenuti del «Protocollo di collaborazione» sottoscritto dal vicepresidente della Regione Toscana Federico Gelli e dal presidente della Regione Calabria Agazio Loiero nell’agosto del 2006. Questo progetto prevede una serie di azioni di sensibilizzazione ed incontro, per oltre due settimane, che uniscono la promozione della cultura della legalità con quella dei prodotti di qualità, per sostenere le imprese calabresi, in particolare quelle che hanno subito e denunciato estorsioni ed attentati mafiosi e che si oppongono pubblicamente al racket. Un fenomeno in rapida crescita, in quanto la crisi economica indebolisce le imprese ed ingrassa la criminalità organizzata.
L’assessore Sulla ha spiegato che la sanzione, una volta appurato il coinvolgimento dell’azienda nella dazione alla criminalità organizzata, potrebbe portare all’esclusione da gare d’appalto, bandi di finanziamento pubblico, sospensione temporanea dei permessi dell’attività. «Non sarebbe un modo per penalizzare ulteriormente l’imprenditore colpito dal ricatto della ‘ndrangheta, ma anzi una sua tutela dall’aggressione -ha detto Sulla- per due motivi: darebbe una motivazione economica alla volontà di non pagare il ‘pizzò per il rischio generale di mettere in crisi l’attività e quindi giustificare il rifiuto; stimolerebbe maggiori denunce alla magistratura con l’attivazione anche dei finanziamenti a sostegno dell’impresa come in questo caso prevede la legge. Bisogna proteggere di più il territorio dalle infiltrazioni mafiose, ma anche evitare che le regole della concorrenza vengano stravolte a danno degli imprenditori onesti e coraggiosi».
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