L'arresto di un esponente della 'ndrangheta
6 minuti per la lettura«Quello che ho visto e sentito dire dal figlio del camorrista Rosario Piccirillo, Antonio, 23 anni, che ama il padre ma che si dissocia dalla Camorra, che definisce una “montagna di merda” e, che fa pagare ai loro figli la loro condizione di camorristi, ndranghetisti, mafiosi, è una cosa emozionante, molto importante e più efficace di un trattato di sociologia. Un messaggio bellissimo che può far breccia nei cuori e nelle menti di molti ragazzi figli di boss e mafiosi che sono costretti a vivere in situazioni difficilissime, che pregiudicano il loro presente e il loro futuro.
L’EDITORIALE DI ROBERTO NAPOLETANO: QUISQUILIE E PUDORE
Affermazioni fatte pubblicamente durante un corteo per l’ultimo agguato che ha coinvolto una bambina di appena 4 anni, ferita durante il fatto di sangue a Napoli, che testimonia la sofferenza di questo ragazzo e di tanti altri, che soffrono la lontananza del padre detenuto e condannato per camorra e che provoca sofferenza all’interno ed all’esterno delle loro famiglie. Una testimonianza che importantissima che puo aprire nuove strade per i figli dei mafiosi».
Sono affermazioni de Presidente del Tribunale dei Minori di Reggio Calabria, Roberto Di Bella che da anni, a rischio anche della propria vita, ha aperto un varco in questo girone infernale di ndrangheta, camorra e mafia, che è riuscito ad offrire protezione alle mogli e ai figli di boss della ndrangheta che si sono rivolti a lui per “salvare” i loro figli e loro stesse da quel contesto mafioso.
E sono più di 70 i minori, figli di ndranghetisti, che adesso hanno lasciato la loro Calabria vivendo in altre città dove hanno trovato lavoro, assistenza ed un futuro diverso. E con loro anche una ventina di mogli di dranghetisti che, superando gli ostacoli e le difficoltà del loro contesto familiare, hanno seguito i loro figli par salvarli da un futuro che sembrava segnato negativamente.
IL RISCATTO
«Non è stato e non è facile fare -dice Di Bella – da parte delle mogli dei ndraghetisti e dei loro figli fare questa scelta, ma si sono resi conto che era necessario uscire da quel mondo che non riserva vie d’uscita perché hanno maturato una convinzione che vivono sulla loro pelle e cioè che ti puo andare bene una volta due ma alla fine o finisci in carcere o ti ammazzano ed alla fine è una vita che non paga».
E a testimonianza di questo ragionamento, le lettere e le confidenze di alcuni ndranghetisti che stanno scontando l’ergastolo, delle loro mogli e degli stessi figli che hanno inviato a Di Bella: «Ricevo lettere e messaggi di detenuti al 41 bis in cui mi viene espressa gratitudine per il lavoro che stiamo facendo in favore dei figli minorenni di ‘ndranghetisti. Sono lettere per me incoraggianti, che denotano sofferenza umana ma anche speranza di una vita diversa per tanti ragazzi e ragazze che vogliono liberarsi da grandi pericoli a cui lo Stato deve una risposta, come stiamo facendo».
LE LETTERE
Eccone alcune: «Scrivo da padre (Giuseppe, ergastolano ndranghetista ndr), un padre che soffre per il proprio figlio, per tutta la situazione familiare. Sono d’accordo con Lei, solo allontanandolo da questo ambiente il mio bambino avrà un futuro migliore. Se avessi avuto io le stesse possibilità forse non sarei dove sono ora. Decida Lei e stia tranquillo che, visto il mio passato e presente, non farei mai qualcosa che possa influire o danneggiare la vita di mio figlio. Io voglio soltanto il suo bene e mi impegnerò con tutte le mie forze a rispettare le prescrizioni che mi impartirà per il futuro».
Ma non è soltanto Giuseppe a rivolgersi al Tribunale dei minori perché salvi i figli di ‘ndranghetisti, destinati a diventare anche loro mafiosi e killer. Sul tavolo del presidente Di Bella ci sono altre lettere. Quella, per esempio, di una madre che da quattro anni vive insieme al figlio di 11 anni fuori dalla Calabria, allontanata proprio da quel Tribunale, e quella di una ragazza di 14 anni, con padre e madre in galera per ‘ndrangheta, che dopo essersi rifiutata di essere allontanata dal suo paese della Locride ora ringrazia e scrive: «Non ritornerò mai più in Calabria». E ancora un’altra lettera di una madre “allontanata” dalla Calabria: «Gentilissimo presidente, io e mio figlio auguriamo a lei ed alla sua famiglia un Santo Natale di pace e serenità e un nuovo anno ricco di soddisfazioni. Ogni volta che guardo negli occhi il mio bambino, e leggo la sua gioia nel trovarsi in questa città dove tutto lo rende felice, il mio pensiero corre da lei. Per questo non finirò mai di ringraziarvi. Il bambino è sereno, si fa apprezzare dalle maestre e i suoi voti sono alti, si impegna molto nello studio e spero che un domani anche Lei possa essere orgoglioso di lui. Sono contenta della scelta che ho fatto anche se i sacrifici non mancano. Io e mio figlio siamo in compagnia di persone affettuose, lontane da quel mondo di prima e abbiamo incontrato una famiglia speciale che ci aiuta e con cui passeremo il Natale. Presidente, grazie di tutto. Ringrazio Dio per averla messa sulla nostra strada».
Maria (nome di fantasia ndr) adesso ha 14 anni, il padre ‘ndranghetista è in galera e anche la madre è finita in carcere. Due anni fa, su disposizione del Tribunale dei minori, Maria ha lasciato il suo paese in Calabria e adesso vive presso un’altra famiglia in Nord Italia.
DRAMMA E RINASCITA
«Quando il poliziotto che l’ha accompagnata ha fatto la relazione, ha raccontato che Maria – dice il giudice Di Bella – durante il tragitto piangeva, non voleva andare via, voleva restare nel suo paese. È stato un racconto drammatico. Per me e per gli altri colleghi del Tribunale e della Procura, sono momenti di vera sofferenza, con un costo emotivo non indifferente. Noi non siamo contro le famiglie, noi vogliamo soltanto aiutarle e aiutare i loro figli».
A Natale Maria ha scritto a Di Bella questa lettera: «Gentile presidente, dove sono ora ho iniziato un’altra vita, sono rinata. Sono molto affezionata alla famiglia cui voi mi avete affidata. Mi vogliono bene e mi danno tutto l’affetto possibile. Mi piace studiare. A scuola mi trovo bene e anche con le mie nuove amiche. Non voglio più tornare in Calabria. All’inizio è stata dura ma ora sono felice. Grazie».
SEGNALI INCORAGGIANTI
Per il Presidente Di Bella queste testimonianze, anche di boss della Ndrangheta, fanno ben sperare.
«Noi come tribunale interveniamo – dice – ma io credo che la prevenzione primaria la deve fare la scuola e quindi lo Stato, bisogna togliere dalla strada i ragazzi, intervenire sin dalle elementari, bisogna avere insegnanti preparati, ma bisogna intervenire in modo strutturato, con programmi e risorse mirate alle politiche di prevenzione, ci vorrebbe un vero e proprio “piano Marshall” per il sud. Pensate che su 98 Comuni della provincia di Reggio Calabria più della metà non ha un servizio sociale, un fatto e un dato gravissimo. Spesso vengono da noi madri e figli di ‘ndranghetisti che ci chiedono lavoro, ma noi non siamo un’agenzia di collocamento, ma tentiamo di aiutarli facendo intervenire delle associazioni come Libera che con i fondi della Cei con l’8 per mille, riescono a trovare qualche soluzione. Ma non basta. Il fenomeno delle donne che si dissociano dai loro mariti e dalla ‘Ndrangheta, che vogliono andare via dalla Calabria, non sono collaboratrici di giustizia, vogliono soltanto andare via per salvare i loro figli».
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