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C’era una volta il ragazzo di Calabria che correva nei campi di granturco, ma per le gare doveva trasferirsi al Nord. E c’è ancora. Anche se dal capolavoro di Comencini sono passati più di trent’anni. A fare notizia ora sono gli atleti africani lasciati fuori e poi riammessi alla maratona di Trieste. Ma le politiche di esclusione possono mettere al tappeto intere comunità. Cittadini figli di un dio minore. Prendiamo, ad esempio, gli azzurri del calcio, l’ultimo domicilio conosciuto dell’identità nazionale. Dal Brennero a Marzameni la squadra allenata da Roberto Mancini è un’istituzione. Ma al Sud non scende mai in campo. Le volte che lo fa si contano sulle dita di una mano: una volta Bari, un’altra a Palermo, rare eccezioni che confermano la regola. Il Torneo delle nazioni riservato ai giovanissimi? A Cormons e Monfalcone in provincia di Gorizia. E non è finita.

A partire dal 16 giugno i nostri azzurrini saranno impegnati nelle fasi finali del campionato europeo Under 21. Dove? L’Inno di Mameli risuonerà negli stadi Bologna, San Marino, Cesena, Reggio Emilia, Trieste e Udine. Il Sud? Resta a guardare. Ma non c’è solo il calcio, ovviamente. Anche il ciclismo si è adeguato in fretta. Il Giro d’Italia, lo spettacolo gratuito e popolare per eccellenza che quest’anno, come vedremo, il Mezzogiorno lo sfiorerà solo. L’edizione 2019 prevede una toccata e fuga da Padre Pio. La benedizione, poi si risale.

PROCESSO ALLA TAPPA

Tre anni fa la carovana rosa pedalò nei luoghi più improbabili. Tre tappe pianeggianti, noiosissime, senza mai scollinare, nei Paesi Bassi, a beneficio esclusivo degli sponsor. L’altr’anno si boccheggiò, e sempre per gli stessi motivi, nel cuore del deserto israeliano, a un passo dai kibbutz, tra intifada e tamburi di guerra. L’edizione 2019 prevede 21 tappe e 3580 km: da Bologna, il prossimo 11 maggio, al gran finale all’Arena di Verona. Si scaleranno il Gavia e il Mortirolo, le montagne come da copione. Al Sud si scenderà, ma solo per rendere omaggio al frate di Pietrelcina.

Traguardo al santuario di San Giovanni Rotondo, in tutto 233 km con partenza da Cassino. Come spiegare – ai tempi del populismo – l’esclusione di mezza penisola dalla corsa più popolare che c’è? Quando nel 2016 si scelse di volare in Israele, gli organizzatori lo ammisero: “Per fare marketing è meglio il deserto tra Haifa e Tel Aviv che la desertificazione dello Stivale”. Con buona pace di Bartali e Coppi, leggende senza confini. Quel discorso non è cambiato. Gli ostacoli sono di varia natura e riguardano tutte le discipline sportive: il mercato televisivo dello sport snobba il Sud. E se a questo aggiungiamo le difficoltà di natura organizzativa per l’arretratezza delle nostre strutture il quadro è completo.

PEGGIO DEL GABON

Non bastasse la fuga dei cervelli, ecco quella dei calciatori. I tesserati in Lombardia sono poco meno di 182 mila, in Veneto 102 mila, 82 mila in Emilia-Romagna, 76 mila in Piemonte, 83 mila in Toscana. Per fare un confronto: Calabria 31.000, Sicilia 51 mila, Campania 70.000, Puglia 47.000. I grandi club pescano qui i loro grandi o piccoli talenti, spinti ad emigrare da procuratori spesso con pochi, o senza, scrupoli. Cosi che insieme a centravanti e terzini scompaiono anche i campi omologati. In Lombardia sono 2687, in Piemonte 1711, nel Veneto 1924 e in Emilia-Romagna 1264. Per contro in Calabria sono 322, in Puglia 887, in Campania 1125, in Basilicata 366. Stadi e strutture del Sud, sussurrano a mezza voce in via Allegri, non hanno più i requisiti richiesti dalla Uefa, sono fuori dagli standard di accoglienza. E in effetti è cosi. Manto erboso scadente, spalti che cadono a pezzi, servizi inesistenti. Nella nostra serie A hanno una media di 68 anni fatta eccezione per quelli di Juventus, Udinese e Sassuolo, sono in condizioni disastrose. Non lo diciamo noi, lo ha detto il presidente della Fifa Gianni Infantino: “Avete una lunga tradizione calcistica e una passione con pochi eguali al mondo, eppure a livello di stadi attualmente siete dietro al Gabon, un Paese in via di sviluppo che ha organizzato la Coppa d’Africa ed è stato in grado di trarre beneficio da questo investimento”.

CAMPIONATI PRINCIPALI

Che fare, allora? L’allarme lo ha lanciato Moris Gasparri, studioso e ricercatore, allievo di Massimo Cacciari: “Se prendiamo in esame i sei principali campionati maschili e femminili – dice Gasparri – dei tre sport più praticati e seguiti, calcio basket e pallavolo, troviamo un totale di 86 squadre partecipanti, di cui solo 10 del Sud. Dieci su 86 vuol dire qualcosa di preciso: il deserto. Nel 2008/2009 erano il doppio”. Deserto, aggiunge Gasparri, che va di pari passo con la desertificazione industriale, “le grandi aziende non hanno interesse a gestire nella pubblicità. Ricordo – continua Gasparri – i tempi del Napoli del Pibe Maradona. Ma anche Caserta, negli anni ‘80 all’apice del basket maschile, Matera nel volley femminile, (volley che ora si ferma a Firenze). il Trani del calcio femminile di Carolina Morace”. Successi non replicabili. E ora? In serie A, con il Frosinone in odore di retrocessione, resta il Napoli cui forse si aggiungerà qualche neo-promossa dalla serie cadetta, ma la sostanza non cambia. Le speranze di sopravvivenza sono legate alle multiproprietà, la Salernitana di Claudio Lotito, già presidente della Lazio e il Bari di De Laurentiis, patron del club partenopeo. Società satellite. La certificazione di un Sud retrocesso di fatto in serie B.


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