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Stefano Bollani in concerto al Castello Svevo di Cosenza

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Il pianista tra l’esperienza del suo show sulla Rai e l’uscita del suo nuovo album

COSENZA – Il titolo del suo show andato in onda sulla Rai era “L’importante è avere un piano”, gioco di parole per chi un pianoforte lo ha eletto a insostituibile compagno di vita, ma anche per chi, dal punto di vista proprio dell’artista, vede la vita con altri occhi, altre sensazioni, altre prospettive, e da lì inevitabilmente traccia strade e percorsi, idee e obiettivi, strategie e futuri possibili. Parlare con Stefano Bollani restituisce proprio questa sensazione: musicista, compositore, pianista… ma anche uno che proprio non ci sta a rimanere chiuso nel recinto della musica: conduttore televisivo, scrittore di libri nei quali ha parlato di alieni e raccontato vite più o meno immaginarie.

Bollani arriva a Cosenza: venerdì 15 settembre al Castello Svevo alle ore 21 sarà protagonista di un “Piano solo” all’interno di “Exit, deviazioni in arte e musica”, la rassegna organizzata da Piano B. Impossibile dire in anticipo cosa il pubblico dovrà aspettarsi.

«Sono solo. Io e il pianoforte. Un concerto completamente improvvisato, non rendo conto a nessuno. Cerco di fare quello che ho voglia di fare. Dipende dal pubblico, dai gusti. Piuttosto che offrire un piatto cucinato prima, diciamo che il pubblico entra in cucina direttamente insieme allo chef».

Altro che la freddezza di uno studio televisivo, dica la verità.

«Assolutamente. Il paragone non esiste proprio. Quando mi chiesero di fare quel programma ci mettemmo d’accordo soprattutto sulla durata. Sette puntate mi sembrava un numero giusto. Lo sapevo in anticipo che poi avrei avuto la necessità di scappare, di correre dal pubblico, perchè il contatto con la gente è fondamentale. Io faccio di tutto, ma la tv non è esattamente il mio sogno nascosto. Se vuole chiedermi se ci sarà un seguito, la anticipo e le dico che non lo so».

 

In realtà volevo chiederle se sapeva che la Rai ha chiesto ha un altro musicista, il calabrese Dario Brunori, di fare un programma su Rai Tre. Magari avrà qualche consiglio da dare…

«Beh, io credo che puntare sui musicisti in tv non sia una cattiva idea. I musicisti non saranno magari esperti di televisione però conoscono il contatto col pubblico e sanno come rapportarsi con esso. Io poi, non sono un grande consumatore di televisione, non la guardo molto. E credo neppure Dario. E questo è un vantaggio. Non si scimmiotta l’esistente e parlando un linguaggio diverso si può fare un buon prodotto».

Un concerto a Cosenza e il prossimo mese uscirà il suo nuovo disco dal titolo “Mediterraneo”. Neppure a farlo apposta…

«È un album live. Il concerto registrato a Berlino col mio trio più Vincent Peirani e alcuni musicisti da camera dell’Orchestra Filarmonica di Berlino. Una bella rivisitazione di alcuni capolavori del repertorio classico italiano che va da Rossini a Puccini fino a Ennio Morricone e Paolo Conte, passando da Nino Rota e Monteverdi».

Pensa di aver aggiunto qualcosa di nuovo alla musica di questi maestri?

«Sì. Perchè usando come spunto musiche famosissime, queste poi diventano spunto per diventare qualcos’altro. In questa maniera la musica si mantiene viva. Sono contrario alla musica sempre uguale a se stessa, non la trovo interessante. No ai monumenti, insomma».

Un concerto a Berlino, con musicisti stranieri. Perchè lo ha chiamato Mediterraneo?

«Perchè sono musiche di compositori italiani amatissimi in tutto il mondo. E che dovunque vengano nominati, la gente pensa subito all’Italia e alla nostra musica. E volevo un titolo che all’Italia facesse immediatamente pensare».

In questi ultimi tempi sta venendo spesso da queste parti. Aneddoti?

«Da voi si sta benissimo. Sono stato qui con Valentina la mia fidanzata l’anno scorso per un concerto al Tau. Bellissima esperienza. I tecnici, il pubblico, la gente, tutto fantastico».

Nei suoi libri ha scritto che a scuola dovrebbero insegnare a capire la musica, non solo a suonarla, come se mancasse una vera e propria guida all’ascolto. Crede che qualcosa si sia mosso in questi anni?

«Non credo. Ma ne avremmo bisogno. Il guaio è che non si può pretendere di insegnare la musica come si insegna la letteratura: infatti non legge nessuno. La verità è che dovremmo prendere coscienza tutti dell’importanza della musica nel nostro bagaglio culturale e così trasmetterla ai nostri figli».

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