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La poesia urbana, il quotidiano smembrato, le pillole lanciate nello stagno e frullate danno vita all’originale arte affabulatoria di Ascanio Celestini, protagonista dello spettacolo Laika, in scena da giovedì 30 marzo 2017 alle ore 21.00, sul palcoscenico del Teatro Nuovo di Napoli.
Presentato da Fabbrica, in coproduzione con Roma Europa Festival 2015 e Teatro Stabile dell’Umbria, l’allestimento immagina come sarebbe, cosa farebbe e cosa penserebbe Gesù se tornasse sulla Terra, narrando in controcanto, attraverso gli occhi senza vista di un povero Cristo, come il crollo delle ideologie stia erodendo anche le religioni.
Accompagnato dalla fisarmonica di Gianluca Casadei e la voce fuori campo di Alba Rohrwacher, il protagonista/narratore non è altri che Gesù, un ubriacone sfaccendato, venuto sulla Terra non per redimere ma per osservare.
È Gesù a introdurci gli altri personaggi di questo racconto: il suo coinquilino Pietro, incaricato alla spesa e alle commissioni, la vecchia, la puttana, il barbone, la donna con la testa impicciata, i facchini del picchetto.
Mille storie parallele s’intrecciano, narrando le periferie geografiche e dell’animo umano e in cui i personaggi inteneriscono, ispirano simpatia. Sono capaci di atti eroici, di compiere prodigi. Proprio loro, infatti, sgangherati, sgualciti, considerati scarti dell’industria capitalistica, corrono a salvare un pezzettino di umanità.
Celestini conduce gli spettatori in un monolocale di periferia, con vista sul parcheggio di un supermercato. Lì si trova Gesù, mandato tra gli uomini unicamente per osservare la loro “quotidianità”.
Proprio per questo è cieco, e a raccontargli quello spicchio asfaltato di mondo, che si può vedere dalla finestra, è un apostolo, Pietro. A simboleggiare la cecità di chi può osservare il mondo solo attraverso gli occhi di un altro, il monolocale è del tutto spoglio e, come fosse la soggettiva di Gesù, risuonerà solo la voce di Pietro. La mancanza della vista umana diventa, così, la condizione per acquisire la vera vista.
Il protagonista/narratore è un fiume in piena, sul momento, non lascia il tempo di riflettere, parlando di religione, di solitudine, di diritti negati, coinvolge nel suo discorso Stephen Hawking, Steve Jobs, e la gente del bar.
In Laika c’è la vita vera, con le sue incongruenze, le sue difficoltà, le sue brutture e le sue bellezze. La vita che, come preannuncia il titolo, basato sul gioco di parole tra Laika, la prima cagnolina lanciata nello spazio, “la creatura più vicina a dio”, e l’aggettivo laica, oscilla tra il sacro e il profano.
Laika di Ascanio Celestini
Napoli, Teatro Nuovo – da giovedì 30 marzo a domenica 2 aprile 2017
Inizio spettacoli ore 21.00 (giovedì e sabato), ore 18.30 (venerdì e domenica)
Info e prenotazioni al numero 0814976267email botteghino@teatronuovonapoli.it
Da giovedì 30 marzo a domenica 2 aprile 2017
Napoli, Teatro Nuovo
Un Gesù improbabile si confronta coi propri dubbi e le proprie paure. Vive chiuso in un appartamento di qualche periferia. Dalla sua finestra si vede il parcheggio di un supermercato e il barbone che di giorno chiede l’elemosina e di notte dorme tra i cartoni. Con Cristo c’è Pietro che passa gran parte del tempo fuori di casa ad operare concretamente nel mondo: fa la spesa, compra pezzi di ricambio per riparare lo scaldabagno, si arrangia a fare piccoli lavori saltuari per guadagnare qualcosa.
Questa volta Cristo non si è incarnato per redimere l’umanità, ma solo per osservarla e gli ha messo accanto uno dei dodici apostoli come sostegno. Il vero nome di Pietro è Simone. La radice ebraica shama significa ascoltare. Dunque Simon Pietro è colui che ascolta.
È anche un uomo del popolo che non capisce bene ciò che gli sta accadendo, è spesso affrettato nelle reazioni. I Vangeli ce lo mostrano quando corre verso Cristo che cammina sulle acque per poi finire tra le onde.
Ma è anche il più materiale, per ciò è chiamato Kefa che in aramaico significa pietra: è lui che paga il tributo, lui che rinnega tre volte, lui che darà vita alla Chiesa.
Nell’appartamento questo Cristo contemporaneo non vuole che entri nessun altro, ma è interessato a ciò che accade fuori. Soprattutto vuole sapere del barbone, non per salvarlo dalla sua povertà, ma per fargliela vivere allegramente.
Come se il mondo fosse il parcheggio davanti alla sua finestra. Il mondo in mille metri quadrati di asfalto osservati da un paradiso-monolocale pochi metri al di sopra. Il barbone è un nordafricano scappato dal proprio paese.
Anche la scena è scarna e senza gli oggetti che siamo abituati a vedere in un appartamento. La cecità del personaggio è una cecità psichica che secondo William James “consiste non tanto nell’insensibilità alle impressioni ottiche, quanto nell’incapacità di comprenderle”.
Insomma non il Cristo che è vero Dio e vero uomo, ma un essere umanissimo fatto di carne, sangue e parole. Non sappiamo se si tratta davvero del figlio di Dio o di uno schizofrenico che crede di esserlo, ma se il creatore si incarnasse per redimere gli uomini condividendo la loro umanità (e dunque anche il dolore), questa incarnazione moderna non potrebbe non includere anche le paure e i dubbi del tempo presente.
Con la crisi delle ideologie nate dall’illuminismo e concretizzatesi soprattutto nel „900 anche le religioni (in quanto visioni totalizzanti e dunque ideologiche) hanno subito un contraccolpo.
L’ebraismo ha trovato una patria mescolando le incertezze religiose alle certezze nazionaliste, anche l’islamismo è diventata una religione di lotta e di governo, mentre il cristianesimo si trova a vivere la sua fase più contraddittoria con due Papi viventi uno accanto all’altro, ma con due volti contrastanti: il rigido teologo e il prete di strada.
A distanza di un paio di millenni ci troviamo ora a rivivere le incertezze del cristianesimo delle origini, frutto dell’ebraismo e seme dell’islam. Queste incertezze vorrei che passassero in maniera obbligatoriamente grottesca e ironica nel personaggio che porterò in scena: un povero Cristo che può agire nel mondo solo come essere umano tra gli esseri umani.
Uno che sente la responsabilità, ma anche il peso di essere solo sul cuor della terra: vuoi vedere che la trinità è una balla e alla fine salterà fuori che Dio sono soltanto io?
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