Totò Riina, Michele Greco, Gaetano Badalamenti, Giuseppe D Cristina, Saro Riccobono, Vito Ciancimino, Angelo Siino, Matteo Messina Denaro. Li hanno soprannominati “capo dei capi”, “papa della mafia”, “padrini”, “boss”, “ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra” . Ma era davvero così? Erano e sono mafiosi è vero, ma erano anche “sbirri”, “confidenti” di carabinieri, poliziotti, servizi segreti che si scambiavano reciproci favori. E’ stato sempre così, fin dai tempi di Don Calogero Vizzini o di Genco Russo che favorirono attraverso “il padrino” italo americano Lucky Luciano, lo sbarco in Sicilia degli alleati durante la seconda guerra mondiale che ricambiarono, nominandoli sindaci dei loro paesi continuando cosi a comandare sempre e comunque.
“UOMINI DI PANZA”
Un’organizzazione, ormai sempre più alla deriva, che tra le sue prime regole aveva quella del silenzio, dell’ omertà, di essere “uomini di panza” e tanto meno avere rapporti con il mondo degli “sbirri” considerati nemici al punto tale che nessuno poteva diventare “uomo d’onore” se avesse avuto tra i suoi parenti, uno “sbirro”. Ma queste ferree regole non sarebbero state rispettate da alcuni boss e padrini che hanno fatto la storia di Cosa Nostra. Totò Riina, per esempio, il boss che ha scatenato la più terribile guerra di mafia dagli anni ’70 fino agli anni ’90, mandante ed esecutore di centinaia di omicidi e delle stragi di Falcone Borsellino, è sempre stato sospettato di essere un “confidente” nonostante il suo ruolo di Capo dei Capi di Cosa nostra. A sostenere questo “infame” sospetto non sono stati soltanto “pentiti” ma anche insospettabili boss.
LE PAROLE DI BUSCETTA
Il primo a rivelare che Riina faceva anche il confidente, era stato il Boss dei Due Mondi, poi passato nel mondo dei pentiti, Tommaso Buscetta. Nei lunghi incontri con il giudice Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che raccolsero le sue dichiarazioni che portarono al primo grande processo alla mafia, Buscetta rivelò:” Dottore quello (Totò Riina ndr) è un uomo malato di “sbirritudine”, si è sempre comportato come uno sbirro, lui non parlava ma aveva un altro vizietto però, quello delle lettere anonime, ne ha scritte tante ed io credo che, nel 1974, sia stato proprio lui a far arrestare Luciano Liggio”.
Un’accusa quasi inverosimile che però viene confermata da uno degli uomini pià fidati di Totò Riina e che per anni è stato il suo autista e “guarda spalle”, il pentito Gaspare Mutolo.
“Io –dice Gaspare Mutolo- sono stato un amico di Totò Riina, ero il suo autista e per suo conto ho compiuto più di 20 omicidi, per un periodo l’ho voluto anche bene, perché per me era un uomo eccezionale ma dopo ho scoperto che era un sanguinario, cattivo ed anche un traditore, perché aveva fatto arrestare anche Luciano Liggio, il suo capo e voleva uccidere anche me. Per questo ho deciso poi di pentirmi e di accusarlo, faccia a faccia, durante i confronti che abbiamo fatto nei vari processi, primo fra tutti quello del Maxiprocesso”.
IL TRIUMVIRATO
Ma chi era il vero Riina?
“L’avevo conosciuto nel 1965 perché ero stato assegnato a lui come uomo di fiducia perché era latitante, avevo tanta ammirazione per lui, perché anch’io ero un mafioso e ragionavo come lui. Poi accadde che facevamo della riunioni, delle mangiate con altri boss ed a quel tempo c’era un triunvirato che governava Cosa Nostra composto da Stefano Bontate, Luciano Liggio e Gaetano Badalamenti.
Allora non c’erano “correnti” dentro la mafia, e quando Gaetano Badalamenti (FOTO 1) fu eletto “Capo dei capi” di Cosa Nostra, lui andò su tutte le furie. Lo aveva saputo perché il boss Caruana aveva informato i capi mafia americani e canadesi che Badalamenti era diventato il capo assoluto di Cosa Nostra. E lui, Riina,si era messo in testa che doveva comandare lui e soltanto lui ed allora cominciò a fare “tragedie” dentro l’ organizzazione. Fece arrestare con le sue “confidenze” il suo capo Luciano Liggio. Liggio non era un fesso ed aveva anche i suoi informatori all’interno di Cosa Nostra e quando nel 1974 seppe che Riina aveva cominciato a fare il “tragediatore” mandò a dire a tutti i capi mandamento (capi di varie famiglie mafiose ndr) di non parlare più con Riina, ma con Bernardo Provenzano, perché Liggio aveva saputo che Riina stava costituendo una sua mafia dentro la mafia. Liggio mandò a dire che Riina faceva troppo “mangiate” e spesso alzava il gomito e con un colpo di pistola ammazzava due persone, suoi commensali”. Poi Mutolo lancia uno strano messaggio: “fino a quando è stato vivo, lui è sempre stato il capo di Cosa nostra, lui pensava che sarebbe uscire dal carcere, non pensava di morire in prigione perché lui aveva avuto delle “assicurazioni””.
Che vuole dire? Recentemente un pentito catanese ha proprio sostenuto durante un processo che i “servizi segreti” (quali?ndr) volevano fare evadere Totò Riina. E’ verosimile?
“Questo non lo so ma lui aveva tante amicizie anche politiche e molti politici temevano che lui potesse parlare e svelare tanti misteri. Ma che lui potesse essere in contatto con i servizi segreti si diceva nel nostro ambiente già negli anni ’70 quando ci fu il processo ai cosiddetti “114” capi mafia. C’erano tutti boss e mafiosi palermitani non c’era un solo corleonese. Strano no?”. Come a dire che la “soffiata” era partita dai corleonesi, da Totò Riina.
Ma c’è un altro boss, mai pentito, Salvatore Enea, detto “Robertino” che rappresentava Cosa Nostra a Milano negli anni ’90 che in una intercettazione ambientale, mentre parlava con un altro mafioso, il 18 novembre del 1993, subito le stragi Falcone e Borsellino, diceva, come ha scoperto e scritto il collega Luca Fazzo, che Riina era un “confidente” dei “servizi segreti”.
IL DOPPIO GIOCO
Ma era solo Riina il boss che faceva il doppio gioco, una volta mafioso ed un’altra volta sbirro? No, ce ne sono tanti altri. Giovanni Brusca, il mafioso che ha sciolto nell’acido il figlio del pentito Di Matteo, che ha premuto il telecomando per il tritolo che uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie, ed i suoi agenti della scorta, durante un processo ha riferito che “Don” Gaetano Badalamenti, era anche lui un “confidente” degli sbirri, anzi dei Carabinieri, del Colonnello dei Carabinieri Giuseppe Russo poi ucciso in un agguato mafioso a Ficuzza vicino Corleone. E chi avrebbe rivelato a Giovanni Brusca che Gaetano Badalamenti era un “confidente” era stato nientemeno Totò Riina. Sembra inverosimile, tutti questi mammasantissima della mafia,che erano pure spioni. Ma è stato lo stesso Badalamenti in qualche modo a confermare i suoi rapporti con i carabinieri, quando, mentre era detenuto in un carcere americano, davanti ad un magistrato italiano, funzionari dell’ Fbi, ufficiali dei carabinieri ed un maresciallo, Antonino Lombardo che gli facevano domande sull’ o
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micidio del giornalista Mino Pecorelli, Aldo Moro ed atri misteri italiani “Don” Gaetano Badalamenti rispose:
Il maresciallo Lombardo si suicidò una settimana dopo quel viaggio e quell’incontro negliStati Uniti con Gaetano Badalamenti.”sospettati” di essere confidenti c’era addirittura anche il “papa della mafia” Michele Greco (FOTO 2) che, anche lui, intratteneva strettissimi rapporti con il colonnello Giuseppe Russo. “Perché chiedete a me tutte queste cose? Chiedetele al maresciallo Lombardo che è delle mie parti (erano entrambi del paese di Cinisi, vicino palermo ndr) e sa quali erano i nostri rapporti…”.
Ma l’elenco è lungo.
Vito Ciancimino (FOTO 3), defunto sindaco di palermo condannato per mafia che era amico dei Bernardo Provenzano e Luciano Liggio e che faceva la spia per l alto commissariato contro la mafia. Ed ancora il boss Rosario Riccobono, confidente dell’ ex numero due del sisde Bruno Contrada, Angelo Siino il “ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra” che parlava con polizia e carabinieri. Ma c’è anche un altro sorprende sospetto che riguarda l’ ultimo boss dei boss di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, ancora latitante. Per anni ha avuto un rapporto epistolare intenso con un certo “Svetonio”, altri non era che l’ex sindaco di Castelvetrano (paese di Denaro ndr) che era in realtà a servizio dei nostri servizi segreti. Strano, ma vero.