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POTENZA – L’Associazione Basilicata 1799 dopo aver fatto muovere il “Festival Città delle cento scale” negli spazi della città capoluogo lucano, aprirà questa sera a partire dalle 20.30 le porte del teatro “Stabile” di Potenza ad una profonda riflessione sul male con lo spettacolo “A.H.” per la regia del grandissimo Antonio Latella. In scena un altro grandissimo del teatro italiano ed internazionale Francesco Manetti esperto di movimento scenico, ricercatore del linguaggio del corpo, trainer e collaboratore di Latella da sette anni, insegnante di ruolo all’Accademia nazionale di arte drammatica “Silvio D’amico” ed esperto maestro d’armi teatrale; in questo spettacolo sarà nei panni quasi inediti di attore. In anteprima il maestro Manetti si concede ad alcune domande per il Quotidiano della Basilicata.Maestro, avete messo in scena il male con il pretesto del nazionalsocialismo ma chi è l’uomo nei confronti del male?
«Una delle prime cose che io ed Antonio ci siamo detti è che quello che è successo durante il nazismo in teatro non è rappresentabile, essendo il teatro una menzogna. Quello che noi abbiamo tentato di mettere sulla scena è la relazione dell’essere umano, in questo caso fisica attraverso il corpo, con il male, con tutte le sue declinazioni, anche la fascinazione del male. La parola “creativo” credo sia la punta dell’equilibrio, a volte il male si presenta come creazione, la volontà di creare un uomo nuovo. In Hitler si è manifestata questa volontà, per farlo in lui c’era la necessità di distruggere l’uomo vecchio».
Antonio Latella ha parlato di “drammaturgia totale” per questa piéce aggiungendo che solo con lei questo spettacolo ha senso. C’è tanta fisicità e linguaggio del corpo ma esiste un ruolo per i testi?
«Nei primi tre giorni di lavoro, quello che stava venendo fuori era uno spettacolo comico su un Hitler privato raccontato da Eva Braun. Poi abbiamo pensato che se davvero volevamo raccontare la grande menzogna del ‘900: il nazismo, non potevamo raccontarla in quei termini. Da qui quasi automaticamente sono emersi dei grandissimi testi: dall’Antico Testamento al Padre nostro che veniva fatto recitare ai bambini tedeschi durante il nazionalsocialismo, ma anche testi più leggeri. C’è anche Tolkien, c’è anche un pezzo di Heiner Müller che Antonio ha voluto perché è il suo faro e piccole altre cose. Tutto parte a livello testuale da un’improvvisazione di cose sulla nascita della menzogna. In questa ricerca andando indietro siamo arrivati alla nascita primigenia del mondo e poi tutto è andato di conseguenza ma avevamo bisogno di testi molto forti che avessero a che fare con la nascita dell’uomo».
A che punto della ricerca e del lavoro sulla menzogna fatto con Latella arriva questo spettacolo?
«Il teatro è menzogna. Eravamo partiti dall’idea di Pinocchio, simbolo della bugia ma anche qui: la bugia è di Pinocchio o di Geppetto che si crea un burattino facendo finta che sia un bambino? Da qui siamo arrivati alla grande menzogna di Adolf Hitler. Quasi contemporaneamente a questo spettacolo, c’è un altro lavoro di Antonio “Le benevole” tratto dal romanzo di Jonathan Littell. Ed adesso a Cesena sta lavorando sull’ “Arlecchino servitore di due padroni”. In questo momento storico del teatro, vogliamo capire quanto ancora oggi c’è spazio per certi meccanismi teatrali. Vogliamo capire fino a che punto sono praticabili certe defezioni dei meccanismi teatrali classici».
Andiamo verso la conclusione. Perché anche grandi intellettuali hanno creduto alla menzogna del nazionalsocialismo?
«E’ inutile dirci che era una buffonata delirante. Il nazionalsocialismo ha risposto alle esigenze di un popolo, in maniera molto forte, dando al popolo quello che è l’elemento fondamentale: l’identità. Questo progetto del nazionalsocialismo, scritto tra l’altro insieme ad un drammaturgo che si chiamava Eckart che era il mentore di Hitler, ha dato parole, mitologia, estetica al popolo. Era difficile sottrarsi da questa fascinazione e non credo che a questo oggi siamo vaccinati».
Concludiamo. Cosa è per lei la Bellezza?
«La Bellezza credo sia lo stupore che fa sorridere il cuore».
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