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di MIMMO MASTRANGELO
FINO a qualche tempo fa la pittura barocca, fiorita tra il cinquecento  e il settecento nelle Marche, non aveva avuto una giusta rilevanza. Poi nel 2010, grazie  a una mostra realizzata a San Severino e curata da Vittorio Sgarbi e Stefano Papetti, si sono aperti scenari di assoluto interesse. Tant’è che Sgarbi è ritornato  sul tema  con l’esposizione “Da Rubens a Maratta”, allestita  fino al prossimo 15 dicembre a Palazzo Campana di  Osimo, cittadina in provincia di Ancona conosciuta per le sue storiche bellezze  e la conservazione  delle spoglie di San  Giuseppe da Copertino nell’omonimo convento. Di certo secondo Sgarbi  il Barocco marchigiano  vide la luce con il pittore urbinate  Federico Barocci (1535-1632), il quale  con il suo pennello anticipò  Rubens ed approcciò  “uno spazio indefinito e virtuoso in un’armonia perfetta tra cielo e terra, con estenuanti morbidezze cromatiche”. Con Barocci  non si sviluppò in loco nessuna scuola, ma altri artisti si affermarono seguendo un proprio stilema barocco, a cominciare dal pesarese Simone Cantarini a Emilio Savonanzi, passando per Domenico  Peruzzini, Giovanni Francesco Guerrieri, Sebastiano  Ghezzi fino ad arrivare  a Carlo Maratti detto il Maratta (1625-1713),  quest’ultimo  sin da subito si orientò “verso una pittura proiettata nel futuro”. Secondo Sgarbi, Maratta è un po’ l’artista simbolo di un’epoca che ha aperto verso orizzonti nuovi” e ha coltivato e (ri) aggiornato  le memorie di Correggio, Raffaello, Carocci. Il Barocco presente nelle chiese e nei musei marchigiani è un tesoro inestimabile, un pezzo di storia dell’arte prodotta nella Provincia italiana  che viene valorizzato in tutto il suo splendore dalla mostra di Osimo. Le opere esposte sono ottantasei e subito si fanno notare  del Maratta i lineamenti marcati sulle tele della “Nascita della Vergine” e della “Madonna con bambino e i santi Ambrogio,  Nicola e Francesco di Sales” , ma dell’artista  di Camerano non passano indifferenti  anche alcuni dei suoi elaborati e sontuosi ritratti. Di Cantarini si può ammirare la sintonia in atto tra l’armonia dei colori e un’austera scena ne “La Madonna del Rosario”, mentre del Peruzzini è stato portato in mostra  una splendida tela  della “Madonna con il bambino”. L’allestimento non vuole essere solo un catalogo di artisti locali, tant’è che Sgarbi  ha selezionato anche   pittori non marchigiani come  l’immenso Rubens i cui due lavori, “L’assunzione della Vergine” e “La continenza di Scipione”, sono  rispettivamente conservati nel  Museo Diocesano  e nella Pinacoteca Civica di Ancona. Di Mattia Preti è stato spostato dal locale convento  di San Giuseppe da Copertino a Palazzo Campana una  “Visione di San Antonio”  immersa  in una luce notturna davvero suggestiva. Di assoluta solennità e straordinarietà, sono inoltre, un “Martirio di  San Sebastiano” di Guido Reni, un “Davide con la testa di Golia” del Domenichino e un “Martirio di Sant’Agata”  di Lazzaro Baldi. Insomma, una rassegna che nell’insieme si propone  come  zommata su una pittura arricchita da eccellenti virtuosismi  e armoniose  pennellate, un primo piano su un’arte che vedrà estendere le sue meraviglie  fin all’inizio del settecento. Subito dopo questo tempo di gloria – come fa notare Vittorio Sgarbi  nel catalogo (Silvana Editore) – “ le Marche ritorneranno nell’ombra”. E vi rimarranno  “fino  alla nascita di Leopardi”.
In esposizione a Osimo 86 opere di pregio selezionate da Vittorio Sgarbi. Una rassegna che nell’insieme si propone  come  zommata su una pittura arricchita da eccellenti virtuosismi  e armoniose  pennellate, un primo piano su un’arte che vedrà estendere le sue meraviglie  fin all’inizio del settecento.  

FINO a qualche tempo fa la pittura barocca, fiorita tra il cinquecento  e il settecento nelle Marche, non aveva avuto una giusta rilevanza. Poi nel 2010, grazie  a una mostra realizzata a San Severino e curata da Vittorio Sgarbi e Stefano Papetti, si sono aperti scenari di assoluto interesse. Tant’è che Sgarbi è ritornato  sul tema  con l’esposizione “Da Rubens a Maratta”, allestita  fino al prossimo 15 dicembre a Palazzo Campana di  Osimo, cittadina in provincia di Ancona conosciuta per le sue storiche bellezze  e la conservazione  delle spoglie di San  Giuseppe da Copertino nell’omonimo convento. Di certo secondo Sgarbi  il Barocco marchigiano  vide la luce con il pittore urbinate  Federico Barocci (1535-1632), il quale  con il suo pennello anticipò  Rubens ed approcciò  “uno spazio indefinito e virtuoso in un’armonia perfetta tra cielo e terra, con estenuanti morbidezze cromatiche”. 

Con Barocci  non si sviluppò in loco nessuna scuola, ma altri artisti si affermarono seguendo un proprio stilema barocco, a cominciare dal pesarese Simone Cantarini a Emilio Savonanzi, passando per Domenico  Peruzzini, Giovanni Francesco Guerrieri, Sebastiano  Ghezzi fino ad arrivare  a Carlo Maratti detto il Maratta (1625-1713),  quest’ultimo  sin da subito si orientò “verso una pittura proiettata nel futuro”. Secondo Sgarbi, Maratta è un po’ l’artista simbolo di un’epoca che ha aperto verso orizzonti nuovi” e ha coltivato e (ri) aggiornato  le memorie di Correggio, Raffaello, Carocci. Il Barocco presente nelle chiese e nei musei marchigiani è un tesoro inestimabile, un pezzo di storia dell’arte prodotta nella Provincia italiana  che viene valorizzato in tutto il suo splendore dalla mostra di Osimo. Le opere esposte sono ottantasei e subito si fanno notare  del Maratta i lineamenti marcati sulle tele della “Nascita della Vergine” e della “Madonna con bambino e i santi Ambrogio,  Nicola e Francesco di Sales” , ma dell’artista  di Camerano non passano indifferenti  anche alcuni dei suoi elaborati e sontuosi ritratti. 

Di Cantarini si può ammirare la sintonia in atto tra l’armonia dei colori e un’austera scena ne “La Madonna del Rosario”, mentre del Peruzzini è stato portato in mostra  una splendida tela  della “Madonna con il bambino”. L’allestimento non vuole essere solo un catalogo di artisti locali, tant’è che Sgarbi  ha selezionato anche   pittori non marchigiani come  l’immenso Rubens i cui due lavori, “L’assunzione della Vergine” e “La continenza di Scipione”, sono  rispettivamente conservati nel  Museo Diocesano  e nella Pinacoteca Civica di Ancona. Di Mattia Preti è stato spostato dal locale convento  di San Giuseppe da Copertino a Palazzo Campana una  “Visione di San Antonio”  immersa  in una luce notturna davvero suggestiva. 

Di assoluta solennità e straordinarietà, sono inoltre, un “Martirio di  San Sebastiano” di Guido Reni, un “Davide con la testa di Golia” del Domenichino e un “Martirio di Sant’Agata”  di Lazzaro Baldi. Insomma, una rassegna che nell’insieme si propone  come  zommata su una pittura arricchita da eccellenti virtuosismi  e armoniose  pennellate, un primo piano su un’arte che vedrà estendere le sue meraviglie  fin all’inizio del settecento. Subito dopo questo tempo di gloria – come fa notare Vittorio Sgarbi  nel catalogo (Silvana Editore) – “ le Marche ritorneranno nell’ombra”. E vi rimarranno  “fino  alla nascita di Leopardi”.

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