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PATERNO – «Noi non siamo più bravi degli altri, solo veniamo da più lontano». Beppe Carletti con questa frase figlia della sua grande umanità e semplicità cerca di spiegare ben 50 anni di storia (nati nel 1963), con più di 300 pezzi scritti. Saranno questa sera, a partire dalle 22, al campo sportivo “Taddeo” di Paterno in un concerto di solidarietà per Alfonso Masino e si è sicuri qualcuno tornerà a casa un po’ deluso per non aver ascoltato la sua canzone preferita, ma come, sorridendo ironizza, Carletti: «Questo è un imbarazzo che ci invidiano in tanti». In anteprima rispetto al concerto paternese Beppe con la sua consueta gentilezza e umiltà si concede ad un’intervista per il Quotidiano della Basilicata.
Maestro, quest’anno è il cinquantesimo, per longevità nel mondo siente secondi solo ai Rolling Stone. Insieme a voi anche il pubblico è cresciuto. Quanto è cambiata la famiglia Nomadi in questi anni?
«50 anni sono una bella responsabilità. La famiglia Nomadi è cresciuta insieme ai Nomadi pian piano, tanta altra gente si è avvicinata alla nostra storia, facendo sì che diventasse sempre più grossa. Il pubblico mi sembra migliorato per certi versi. Il pubblico che ci segue ha dell’incredibile, noi non facciamo 20 concerti all’anno, ne facciamo tanti e la gente viene a vedere anche decine di concerti nel corso di una stagione. Ed è bellissimo, io non scambierei il mio pubblico con nessun altro. Tutto ciò che ci circonda è cambiato- non so se in bene o in male- non saprei dire, però il nostro pubblico è migliorato molto».
Si potrebbe dire : 50 anni e non sentirli. Nell’ultimo disco “Terzo Tempo” cambiate stile e diventate più indie rock. I Nomadi non si fermano mai?
«E’ chiaro che l’ultimo arrivato Cristiano ha portato questa ventata molto bella che ha coinvolto tutti. Ha rinvigorito tutti noi. I cambiamenti non portano sempre male. Siamo ringiovaniti tutti. Questo disco “Terzo Tempo” recepisse profondamente questo cambiamento e lo si sente tanto. Ed è una cosa bella dopo tanti anni, avere il coraggio e la forza di rinnovarsi. Non ci siamo seduti sugli allori della nostra gloriosa storia ma cerchiamo di andiamo avanti senza trascurare naturalmente il nostro passato».
Cristiano Turato giovane e ultimo arrivato ha scritto ben 4 brani del nuovo disco. In che modo si è confrontato con la sua lunghissima esperienza al vostro giovane nuovo frontman?
«Quando è arrivato Cristiano ci siamo confrontati all’interno del gruppo, non abbiamo fatto questioni di anzianità e non abbiamo fatto fatica. La musica è un lingua universale che tutti riconoscono, basta guardarsi in faccia. E’ stato molto facile confrontarsi, non bisogna chiudersi in sé stessi e mai pensare di aver raggiunto il massimo. Il gruppo non ha padroni, nei Nomadi l’ultimo che entra nel gruppo ha la stessa forza degli altri. Questo vuol dire essere gruppo».
Rinvigorimento e cambiamento ma gli ultimi pezzi della scaletta, sono sempre “Canzone per un’amica”, “ Dio è morto” e “ Io vagabondo”. Secondo lei, è possibile oggi raggiungere il livello di questi brani?
«Non credo. E’ cambiato il mondo, l’aria che respiri ti porta a scrivere cose diverse da quelle degli anni ‘60 e ‘70. E’ normale tutto questo. Bisogna andare avanti, ma la domanda è avanti dove? Bisogna cambiare, va bene ma cambiare perché? Quando ascolto la radio con i pezzi in voga, mi accorgo che io non cambio quello che ho fatto io con quello che stanno facendo adesso, senza nulla togliere a loro. I valori che c’erano allora non esistono più, ci sono altre cose. Io credo che dopo “ Dio è morto” per esempio è difficile scriverne un’altra, è un manifesto quel pezzo, ha detto tutto è difficile continuare con la stessa potenza».
Francesco Guccini suo amico e collaboratore ha lasciato il palcoscenico ma anche se ci sono solo sei anni di differenza, oggi Carletti per spirito ed anima è considerato il più giovane dei Nomadi. Cosa passa per la testa di una leggenda come voi quando si decide di lasciare o continuare?
«Con lo spirito può darsi, non mi fermo mai. Ho cominciato a stare sul palco a 12 anni con la fisarmonica. La mia vita è sul palco. Il profumo del palco, il sapore del palco, vedere la gente che è davanti a te che canta le tue canzoni che scrivi da ormai 50 anni e vedi cantarle dai più piccini e dagli anziani, è difficile farne a meno, difficile scendere dal palco, ci vuole coraggio e io questo coraggio non ce l’ho. La dimensione di Francesco poi è diversa dalla mia, io faccio parte di un gruppo, lui è un’identità ben precisa, uno dei più grandi poeti italiani. Francesco stesso è in evoluzione ora scriverà libri probabilmente. Anche io sono in evoluzione ma in altra direzione, mi metto ancora in gioco nelle canzoni. Io voglio vedere se riesco ancora a far emozionare le persone scrivendo canzoni».
Concludiamo. Cosa è per lei la Bellezza?
«La Bellezza è stare su un palco a suonare, in mezzo a persone che ti vogliono bene».
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