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COSENZA – Una voce graffiante, che la “r” arrotondata rende immediatamente confidenziale, una vitalità da fare invidia, anche dopo centinaia di nottate in tournèe e mattinate in aeroporto. Renzo Arbore e la sua chiassosa Orchestra italiana torneranno a toccare la Calabria anche quest’anno, il 18 al teatro Rendano di Cosenza e il 19 al Politeama di Catanzaro. La sua storia artistica è, inoltre, in questi giorni protagonista di un volume appena uscito nelle librerie: il libro “Vita, opere e (soprattutto) miracoli” scritto da Gianni Garrucciu. Intermanete dedicato ad Arbore, un guru dello spettacolo in Italia, che è sempre pronto a rimettersi in gioco.
Televisione, radio, orchestra. Tante passioni, ma quel è la sua vera vocazione?
«E’ stata la musica che mi ha fatto da grimaldello per la radio prima, e mi ha fatto diventare il primo dj italiano e tuttora sono presidente dell’Associazione italiana disc jockey. Poi dalla musica sono passato in radio, poi in televisione e tutto il resto. Fino a tonare alla musica, cosa che faccio con grande passione, soprattutto perché amo rilanciare cose che potrebbero essere dimenticate o sottovalutate, come le canzoni napoletane meravigliose dall’Ottocento agli anni Settanta, come lo swing italiano che ho rivisitato e riarrangiato quando ancora non c’era Michael Bublè, o come la canzone umoristica che era ormai dimenticata prima che io cantassi a Sanremo “Il clarinetto”. Da allora è tornata in auge e da lì sono arrivati “Elio e le storie tese” e tutti gli altri».
E la televisione, quindi? Ha deciso di abbandonarla definitivamente?
«Per la verità la televisione mi sta riscoprendo adesso. Nel tempo io ho realizzato 14 prototipi, quelli che oggi li chiamano format. Di sabato sera su Raidue sta andando in onda, intorno la mezzanotte, un programma che si intitola “L’altra. La tv di Renzo Arbore” e che sta dedicando ogni puntata a una delle mie invenzioni: il primo talk “Speciale per voi”, il primo contenitore della domenica con “L’altra domenica”, poi il primo programma patriottico “Telepatria international”, il primo programma nostalgia con “Cari amici vicini e lontani”, fino ad arrivare a “Quelli della notte” e “Indietro tutta”. Poi ho ripreso con l’orchestra, salvo il fatto di aver fatto “Meno siamo, meglio stiamo” un paio d’anni fa».
Dunque, nessuna nuova ispirazione all’orizzonte?
«La televisione la sto sperimentando sulla rete. Ho un canale che si chiama Renzoarborechannel.tv e lì sto provando un nuovo repertorio. Sono un po’ cose mie e un po’ cose che piacciono a me, del repertorio televisivo storico che nessuno conoscerebbe se non gli venissero indicate: gli sketch di Totò, di Walter Chiari, Aldo Fabrizi. Per adesso sto sperimentando su internet, che considero un ottimo posto per fare cose originali, nuove. Certo, mi servirebbe più tempo, perché ho il mio da fare con l’orchestra italiana, ho 40 famiglie a cui pensare, e quindi non è che la possiamo dismettere così. Lavoriamo tanto e ci sta bene. Siamo in giro a Lecce, Bari, poi il 18 saremo a Cosenza e il giorno dopo a Catanzaro, poi andremo a Milano, Torino».
Una grande voglia di fare spettacolo e di presentarsi ogni sera al suo pubblico con allegria. Ma posso chiederle come ha fatto, dopo il grande lutto che l’ha colpita per la perdita di Mariangela Melato, a rimettere il suo gilet, riprendere in mano il microfono e a mandare avanti con lo spettacolo?
«E’ molto difficoltoso, ma so che quella persona avrebbe voluto così. Riesco a farlo perchè cancello, in quel momento, il dolore profondissimo che in altri momenti della giornata c’è, ed è una cosa che mi costa fatica. Però devo essere molto grato alla musica. La musica non ti fa pensare, è un alibi straordinario, una grande salvezza e una consolazione».
E forse anche l’affetto che il pubblico le dimostra la aiuta in questo.
«Certamente. E’ molto potente quella cosa lì. Il pubblico sa, capisce. E però io non fingo. Quando sul palco trasmetto allegria, perchè quando si conosce il male peggiore hai bisogno di scuoterti, di riscattarti proprio. E’ una vera e propria legge di compensazione».
A questo punto, sullo stile del “bravo presentatore” alla Nino Frassica, dovrei farle la domanda di rito: ovvero se ha amici, zie, cognati, parenti in Calabria. Invece cambio prospettiva e le chiedo, da esperto meridionalista e conoscitore del Sud quale lei è, mi fa un identikit del “calabrese tipo”?
«Io ho convissuto nei miei anni universitari con catanzaresi e cosentini, ma il feeling è simile tra tutti i meridionali: il culto della famiglia, del cibo di un certo tipo. Il calabrese ha questa leggenda intorno a sé, che poi è assolutamente reale, quella della cocciutaggine, da “capa tosta” per cui poi si afferma nel mondo con caparbietà perchè vuole riscattarsi dal fatto di essere nato in un posto lontano e difficile. Mi diverto moltissimo con Lillo e Greg quando fanno il corso di calabrese fondamentale in radio, o con Fiorello quando prende in giro i calabresi, da siciliano quale lui è, perchè c’è sempre stata questa “lotta” tra le due regioni. Ma comunque siamo fortunatissimi perchè siamo nati in un paese come l’Italia che è bello proprio perchè è vario. Questi che lo vorrebbero dividere commetterebbero un errore madornale. L’America è la prima nazione nel mondo proprio grazie alla diversità di razze e persone che la compongono, e unendo tutte le culture si diventa un paese potente. Bisognerebbe conoscere bene l’Italia, anche al di là delle solite tappe come Firenze, Roma. Solo così si imparerebbe ad amarlo e ad apprezzarlo di più».
Tante anime, una sola musica. Un po’ come nell’Orchestra dove, non a caso, c’è anche un musicista cosentino, il bassista Massimo Cecchetto.
«Sì, è bravissimo. E per non smentire le sue origini, mi riempie sempre di peperoncino ogni cibo che arriva in tavola…»
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