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TORNERA’ a Matera a distanza di oltre 30 anni, ma non come un cittadino qualunque. Francesco Rosi, napoletano, 91 anni a novembre, regista di film che hanno segnato altrettante tappe fondamentali del cinema civile in Italia, sarà tra i Sassi venerdì 20 settembre per ricevere dalle mani del sindaco Salvatore Adduce l’attestato di cittadino onorario della città.
La motivazione? Quella di aver contribuito, attraverso film come “Cristo si è fermato a Eboli” e “Tre fratelli”, alla diffusione nel mondo della cultura materana.
Già, perché a differenza di altri grandi registi, anche internazionali, suggestionati dal paesaggio materano, Rosi è stato tra i pochi a puntare la macchina da presa direttamente su quel mondo allora da poco scomparso, e a farlo nel tentativo dichiarato di rileggerne (anche oltre Levi) la storia: inquadrando, cioè, quel mondo in una cornice politica e sociale che risente, per forza di cose, della formazione culturale dello stesso Rosi. Di un regista, vale a dire, che si era coraggiosamente cimentato con storie controverse come quella del bandito Giuliano nella ambigua Sicilia del Dopoguerra, o come quella ambientata nella Napoli devastata dalla speculazione edilizia, o come quella, ancora, del caso Mattei (che, a ben vedere, contiene una lezione che vale anche per la Lucania di oggi).
Per Rosi entrare nel mondo materano, sia pure attraverso la lente di uno scrittore come Carlo Levi, significò, ancora una volta, tentare di venire a capo di una realtà che per il regista di formazione marxista è storicamente determinata, con tanto di vittime e carnefici: di una storia, dunque, da sottrarre alla tentazione di una lettura antropologica e, meno che mai, magica.
Ma come entrare in questo mondo? L’uomo che aiutò Rosi a ricreare la civiltà contadina descritta da Levi si chiama Mimmo Notarangelo.
Antropologo, Notarangelo si definisce “fotografo per necessità”. Eppure nel suo archivio (un archivio per il quale, incredibilmente, non si trova una sede istituzionale adeguata) c’è la storia sociale e culturale di Matera degli ultimi cinquant’anni. Basti dire che gli oltre centomila scatti realizzati da Notarangelo a partire dagli anni Sessanta documentano il passaggio di Pier Paolo Pasolini (che tra i Sassi girò Il Vangelo secondo Matteo) e di altri straordinari cineasti italiani: da Liliana Cavani a Luigi Zampa, dai fratelli Taviani allo stesso Rosi.
Considerato il depositario del più ricco archivio fotografico della Matera moderna, Notarangelo vive oggi in una casa popolare alla periferia della città. Le decine di migliaia di fotografie raccolte in questi decenni, sono ammassate, a sue spese, in scantinati di fortuna. Soltanto una parte di queste foto, quelle scattate sul set del “Vangelo secondo Matteo” di Pasolini hanno dato vita a una mostra permanente nei Sassi (in via Vetera 34).
Dal 1978, anno in cui fu girato a Matera e dintorni il “Cristo si è fermato a Eboli” di Rosi, Notarangelo è in corrispondenza con il regista napoletano. “Una corrispondenza – precisa – che si è andata esaurendo qualche anno fa, dopo la drammatica morte della moglie Giancarla” (sorella della stilista Krizia, Giancarla Mandelli, si spense nell’aprile di tre anni fa, tra atroci sofferenze: era rimasta gravemente ustionata nell’incendio divampato in casa per colpa di una sigaretta, ndr). Tra l’altro, lo stesso Notarangelo si è battuto anche lui, qualche anno fa, per promuovere la cittadinanza onoraria di Rosi: un’offerta che allora il regista, fortemente scosso dalla tragedia che lo aveva colpito, non si sentì di accettare.
Notarangelo, come nacque, la sua collaborazione con Rosi?
Fu lo scenografo Andrea Crisanti a contattarmi. Gli aveva parlato di me Michele Parrella, un poeta lucano che viveva a Roma.
E perché mai?
Sapeva che da anni mi dedicavo allo studio della vita quotidiana dei contadini materani di una volta. Avevano bisogno di qualcuno che li aiutasse a ricostruire l’ambiente della provincia degli anni Trenta in vista del “Cristo si è fermato a Eboli” di cui, da lì a poco, sarebbero iniziate le riprese. Accettai, naturalmente. E mi mandarono il copione del film.
E poi che cosa successe?
Crisanti venne a Matera. Con lui c’era Santi Norman, l’organizzatore generale del film. E cominciammo a perlustrare in lungo e in largo il Materano alla ricerca degli ambienti più adatti.
E quali luoghi sceglieste?
Gran parte degli esterni fu girata a Craco. Altre parti del film a Guardia Perticara. E ad Aliano, naturalmente, dove aveva abitato Levi.
E la ricostruzione degli interni? Immagino che vi siete basati su testimonianze storiche..
Non ce ne fu bisogno. Io conoscevo bene il mondo contadino. Era il mio mondo, quello in cui ero nato e nel quale avevo vissuto la mia adolescenza: vi affondavano le mie radici. Era la mia pelle. Fu sufficiente mettere in azione la memoria.
E cosa riaffiorò dai suoi ricordi?
Man mano che affondavo il bisturi nella memoria, mi rendevo conto di non aver dimenticato nulla: le condizioni di vita, i modi di fare, i suoni, gli odori, le voci, la ragnatela di chiodi sui muri delle case contadine. Ma anche dettagli come quelli delle nonne sedute sull’uscio di casa e i loro racconti a frotte di mocciosi accovacciati ai loro piedi; il silenzio della controra; le ninne nanne cantate a bambini in fasce; i rintocchi della campana varie volte al giorno.
Cosa ricorda di quei sopralluoghi?
Beh, a Craco ci capitò il primo episodio curioso. Dovevamo girare l’episodio della donna malata di risipola, un’infezione della pelle una volta assai diffusa. Per quella scena ci affidammo alla coppia di anziani che abitava nella casa scelta come set. Secondo la tradizione popolare per far guarire le vittime di quel morbo occorreva posare sulla loro fronte una moneta d’argento. Ma quando si trattò di girare la scena ci accorgemmo di non averne. E allora mi sono ricordato di possedere una medaglia d’argento celebrativa dei 50 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre. Usammo questa. E naturalmente nessuno se ne accorse.
Quanto durarono le riprese?
Tre mesi, dal febbraio all’aprile del 1978. Furono settimane molto intense. Tra me, Rosi, Crisanti e Gian Maria Volontè si stabilì un rapporto di grande amicizia.
Com’erano i rapporti tra Rosi e Volontè?
C’è un episodio che mi è rimasto particolarmente impresso. Un sabato si stava svolgendo tutti insieme un sopralluogo a Gravina, dove Rosi voleva ambientare la stazione di Eboli. Si trattava di dare dei ritocchi alla casupola per riportarla a uno stile d’epoca fascista. A un tratto vediamo arrivare lungo i binari il capostazione. E’ sconvolto, piange. “Hanno rapito Moro”, ci grida. Rosi decide di sospendere il sopralluogo. Con Volontè ci precipitiamo in un’ auto per ascoltare le ultime notizie dalla radio. E Rosi ci dice: “Oggi l’Italia è tornata indietro di trenta anni”. Col senno di poi si può dire che avesse visto giusto.
E l’episodio più curioso di cui è stato testimone?
Ad Aliano. Ricordo che c’era il muro in mattoni di una vecchia casa che andava ritinteggiato perché apparisse più antico di quello che era. Si diede l’incarico a un falegname del posto il quale per giorni si applicò per dargli un colore che lo facesse sembrare un manufatto degli anni Trenta. Capitò poi che Crisanti, scontento del risltato ottenuto, obbligasse il poveretto a ritinteggiare la parete. Non finì lì. Perché venne il turno di Rosi. Il regista, a sua volta, non era convinto del risultato ottenuto e convinse l’imbianchino a cambiare nuovamente tinta. Sta di fatto che lì davanti c’era un piazzale adibito a stazionamento dei bus. Fu un autista a notare che il muro negli ultimi giorni aveva cambiato più volte colore. Da lì a gridare al miracolo il passo fu breve. E per tutta Craco si sparse subito la voce. Lo chiamarono da allora il muro del miracolo.
a.grassi@luedi.it
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