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POTENZA – E’ stato l’inquilino i via Verrastro. Il governatore dei record e della doppia elezione. Nessuno come lui: otto anni presidente della Basilicata.
Vito De Filippo li sintetizza così: «Sono stati anni complicati per le Regioni. Gli anni della crisi economica, della crisi dei sistemi finanziari pubblici, dei tagli, della riduzione, dello stop della fase espansiva economica del Sud. Sono stati gli anni più duri per l’Italia in un incrocio tra crisi economiche e politiche. Continuo a pensare che l’analisi storicista, rigorosa, serena e scevra anche da valutazioni più calde ci dimostra che il sistema pubblico lucano regge a queste difficoltà e le attraversa. E le supera conservando i limiti propri, i vizi e le grandi questioni che abbiamo conosciuto nella storia della Basilicata».
Una Basilicata che si salva?
«Ci sono stati ingredienti che avrebbero fatto saltare in aria potenzialmente qualsiasi sistema. Come è successo generalmente nel Mezzogiorno. La Basilicata, invece, resiste e non scoppia. Certo accumula difficoltà che sono sotto gli occhi di tutti e con i quali dobbiamo fare ancora i conti.
Ma lei che Basilicata ha ereditato?
«Una Regione che aveva un ottimo prestigio a livello nazionale. Una Basilicata che era all’esordio di grandi partite rivelatesi poi anche limitate. Una Regione in ogni caso che su temi importanti come acqua e petrolio aveva dimostrato una metodologia innovativa. In questi anni la Basilicata ha mantenuto un prestigio altissimo. Che produce una sorta di spazziamento nella comunicazione pubblica che voi stampa locale certe volte percepite con stupore. C’è una differenza tra i giudizi nazionali e locali. Abbiamo ricevuto riconoscimenti in un lungo e largo dall’Italia e dall’Europa. Siamo spesso assunti come uno degli esempi possibili e positivi del Mezzogiorno. Ma?C’è una visione più storicista senza esaltazione ma anche senza facili depressioni. Ancora oggi gode di questo prestigio. Anche il modo con cui la Basilicata si è interfacciata a vicende che stanno caratterizzando la cronaca del sistema delle Regioni italiane ha favorito questo. Mi permetto di dire che con la rigidità delle dimissioni si è favorito il mantenimento di quel livello di prestigio.
Che Basilicata consegna al suo successore?
«Una Basilicata dove 2 grandi temi sono aperti. Due temi che sono il mix della crisi e di qualche non decisivo atto che forse si poteva assumere ma che per responsabilità della politica e anche di chi ha guidato la Regione non sono stati assunti. Onestamente non credo avrebbero risolto tutto».
Quali le 2 questioni aperte?
«Lo sviluppo delle imprese nel suo complesso e l’occupazione. E sono i 2 dati con i quali, purtroppo, si valutano le politiche pubbliche. Ma bisognerebbe ragionare su questi termini: qual è la scala di possibilità e di responsabilità che le politiche regionali possono determinare su questi temi e quanto vale il contesto meridionale, nazionale europeo e anche planetario che abbiamo conosciuto nella crisi attuale rispetto a questi due problemi? Ma pure sottraendo responsabilità e caricandole su altri livelli sicuramente sono i 2 grandi problemi che ancora permangono in maniera formidabile. Con i quali bisognerà fare ancora i conti. Ma c’è sicuramente un sistema di welfare adeguato; ci sono elementi assolutamente positivi di base da cui partire. E mi riferisco per esempio alla Sanità o all’Università.
Cioè?
«La crisi degli atenei meridionali dimostra cosa ha significato la scelta di sostegno all’ateneo lucano. Anche nel riparto nazionale, la stabilità finanziaria della nostra università determinata con la legge regionale ha prodotto effetti aggiuntivi in termini di risorse. Nella crisi delle università del Mezzogiorno, la Basilicata è quella che la sta vivendo con più sicurezza. Anche in altro settori come la Sanità o il welfare penso abbiamo fatto fatto cose importanti negli scorsi anni. Dagli asili nidi, all’assistenza domiciliare. Welfare, cosa pensa del reddito di cittadinanza?«Penso che nel quadro delle politiche europee – e come è stato già sperimentato in molte nazioni -nelle fasi critiche sia uno strumento necessario per allentare la pressione sociale. In tal senso nel rapporto di coesione che consegniamo al nuovo governo e al presidente Pittella c’è un’analisi molto interessante su questi temi compreso lo stesso reddito di cittadinanza che si può utilizzare ma in un quadro di riforme del welfare. Bisogna inquadrarlo anche in una revisione di altri strumenti già esistenti: servono risorse abbondanti e bisogna capire come inquadrarlo finanziariamente».
Lascia il palazzo della Regione tra qualche giorno. Ma quali sono i conti economici che lascia in eredità?
«La Regione ha un bilancio sicuramente solido ed equilibrato. Non solo perchè un acutissimo valutatore dei bilanci pubblici quale è l’ex ministro Giarda ci ha consegnato l’oscar per il bilancio. Ma anche perchè abbiamo oggettivamente un basso livello di indebitamento e quello che c’è è di qualità. Nel senso che ci siamo indebitati in questi anni per fare investimenti e non per affrontare la spesa corrente. Poi c’è un equilibrio tra entrate e uscite. Ovviamente stiamo stretti in una dimensione di difficoltà in alcuni periodi dell’anno finanziario (e così credo sarà anche in futuro) per questioni esogene che sono soprattutto quelle del “Patto di stabilità”.
La percezione all’esterno del Palazzo è che siano finiti i soldi…
«C’è una sincronia favorevole. Si parte con la nuova legislatura e con una nuova programmazione comunitaria. Ci sono trattative aperte con le quali bisogna fare i conti. Il Memorandum e l’articolo 16 sul petrolio sono 2 passaggi fondamentali. L’ho già detto nella Direzione del Pd: la tratta Potenza – Roma sarà fondamentale nei prossimi mesi. Mi riferivo al petrolio e anche alla chiusura del negoziato sui fondi comunitari. E’ evidente che una volta poste le basi finaziarie solide che questi due appuntamenti potranno garantire si tratterà di fare scelte che verranno effettuate da Marcello Pittella. Il 2014 sarà anche un anno non di superamento della crisi ma di una prima luce di ripresa».
Si chiude una pagina storica della Basilicata. Tra luci e ombre. Secondo lei -magari tra qualche anno – come verranno raccontati i suoi 8 anni di presidenza?
«Uno che è stato 8 anni presidente della Regione già nella contassi che si farà della Basilicata sarà citato (sorride ndr)».
Ma quale aggettivo assocerebbe alla sua esperienza da governatore?
«Non so. Io penso di poter associato all’attenzione per la cultura, per l’Università… ma un aggettivo non so». Esiste una Basilicata pre petrolio e una Basilicata post petrolio… cioè il petrolio è un elemento di discrimine o sono altri i fattori che hanno segnato la storia moderna della Regione?«E’ assolutamente così».
Ma la Basilicata non si sente un pò tradita dallo Stato sulla questione Memorandum?
«Assolutamente sì. La strategia energetica nazionale approvata dal governo Monti, di fatto presentava capitoli che non tenevano oggettivamente contro del contributo della Basilicata. Che ci sia stata una sottavalutazione del contributo della Basilicata in termini energetici è evidente. Ma io penso che questo dipenda anche da un problema politico – istituzionale. Mi spiego: quando un Paese è in crisi spesso si preferisce sacrificare livelli di democrazia, di partecipazione e di autodeterminazione dei territori per avviarsi su una nuova strada. Non a caso Berlusconi pensò persino di avventurarsi al ritorno al nucleare che era stato stoppato dal più partecipato Referendum della storia italiana. Io però, ho un’idea diversa. Solo costruendo una relazione leale con i territori si riescono a fare scelte difficili».
Rimpiange che nei suoi otto anni non ci sia stata una questione “Scanzano” che invece ha tanto caratterizzato il suo predecessore che ancora è ricordato come il “generale” Bubbico?
«No. Anzi sono contento. Perchè al netto della buona riuscita dell’operazione “resistenza” io ricordo che furono settimane davvero drammatiche per la Basilicata e per i cittadini lucani. Sono contento che non si sia ripetuto un momento così complicato».
Il momento che più ricorda con piacere?
«Penso che il prestigio della Basilicata anche negli ultimissimi anni è risuonato a tutti i livelli istituzionali nazionali. Grazie anche, secondo me, al lavoro puntuale che è stato fatto nella Conferenza delle Regioni. Ricordo che la vicenda comunitaria è partita con l’insediamento del governo Monti con una lunga riunione e una finale conferenza stampa alla quale parteciparono il presidente del Consiglio e il sottoscritto in rappresentanza di tutte le Regioni. Di contro per lo stesso motivo anche la vicenda “rimborsopoli” per me aveva una delicatezza particolare per responsabilità nazionali».
In che senso?
«Ho vissuto quella vicenda giudiziaria con particolare complessità perchè la Basilicata dopo il caso del Lazio e di Fiorito fu la Regione messa a capo del coordinamento nazionale per modificare la legislazione generale sulle regioni rispetto ai finanziamenti ai gruppi consiliari e ai benefici e benefit dei consiglieri regioni. Io insomma fui a capo del coordinamento delle Regioni e poi proprio per questo vissi la vicenda di rimborsopoli con un particolare fastidio».
Il peggior momento dei suoi otto anni di governo regionale è stato quindi rimborsopoli?
«Riferisco sempre le stesse considerazioni. Credo che in quella fase ci fosse una evidente stanchezza nel lavoro della maggioranza. Una mutevolezza di posizioni anche nella stessa maggioranza. La non reattiva forza di mettere in campo riforme importanti. Ricordo, tra le tante, la vicenda dei Consorzi di bonifica che nonostante l’approvazione della riforma da parte della Giunta restava ferma in Consiglio. A questa atmosfera si è aggiunto un evento, sicuramente di dimensioni aritmetiche minori rispetto ad altri casi in Italia, ma con provvedimenti legittimi della magistratura che però erano tra i più duri di tutto il Paese: tre arrestati e nove divieti di soggiorno. In quel momento mi sono reso conto che il dibattito era chiuso. Oltretutto vorrei ricordare che in quei giorni stavamo discutendo un possibile riassetto del governo regionale e le forze politiche che sostenevano quella maggioranza erano molte settimane che non riuscivano a fare sintesi».
La Basilicata è una regione moderna?
«E’ una regione che ha un mix, come del resto quasi tutte le regioni del Mezzogiorno, tra elementi di modernità ed elementi di arretratezza. In questa logica a mio modo di vedere in Basilicata ci sono più elementi di innovazione che rispetto a quelli di arretratezza. Che però sia una regione totalmente moderna non lo si può dire».
E da un punto di vista dell’emancipazione culturale dei lucani?
«C’è molto da fare…».
Dipende anche da questo che negli ultimi due consigli regionali non sia stata eletta nemmeno una donna?
«Sì. Sicuramente è una drammatica vicenda. Mi permetto di dire, tra le tante cose belle, che nel 2010 la legislatura si era aperta per la prima volta nella storia della Basilicata con tre donne in giunta. E’ stata una piccola svolta visto che in 40 anni dalla nascita della Regione mai una donna era entrata in giunta. I partiti non hanno avuto la capacità di creare quel campo aperto di parità e di pari opportunità fondamentale».
Ha composto numerose giunte. C’è qualche nomina che non rifarebbe?«Preferisco non rispondere… (ride di gusto ndr). Diciamo che alcune pratiche vanno sciolte solo dopo anni ».
E si pente magari di qualche esclusione?
«Assolutamente sì. Ma conservo la riservatezza sui nomi. Siamo ancora troppo a caldo».
La politica del consenso spinge un uomo politico a non essere se stesso fino in fondo?
«C’è con molta franchezza un grado di dissimulazione secondo me ineliminabile. E’ quasi un elemento costitutivo. Non perchè lo dica la scienza della politica come è noto nel mondo nasce in Italia da Machiavelli in poi. Voglio dire le riforme non si fanno senza popolo. Ma per arrivare a questa sintonia il tema del consenso, e anche il modo in cui si presenta questa azione, è molto importante. Certe volte c’è bisogno di elementi anche di dissimulazione che provino a rappresentare in maniera più ridotta gli effetti negativi e in maniera più esaltante gli effetti negativi. Parlo del non presentare magari in alcuni momenti in tutta la crudezza alucni dati. E’ una tecnica propria dell’agire politico che in questo momento però diventa troppo utilizzata e si deteriorizza addirittura. La dissimulazione eccessiva porta alla bugia, alla menzogna. Io penso che ci deve essere un limite. Ma che in questi anni si siano utilizzati questi strumenti credo sia evidente. Li hanno utilizzati tutti. Anche i “correttori” della politica regionale, i contestatori e i moralizzatori».
E non c’è il rischio della mortificazione del merito?
Posso assicurare che le mie scelte sono state fatte sulla base di intuizioni personali e sul merito. Molte delle persone che ho scelto non seguono nemmeno più la mia politica. Può darsi che abbia fatto qualche errore. Non c’è dubbio che la relazione politica è prevalentemente e pure il merito magari venga individuato solo nel campo visivo che uno ha a disposizione. Forse non si è osato troppo anche in orizzonti più ampi ma quando si è osato ci sono state critiche al contrario come avvenuto per Des Dorides o Tosolini…».
Tra il suo predecessore Bubbico e il suo successore Pittella, quali le differenze più evidenti?
«Ho stima e un vincolo di amicizia che mi lega a entrambi. Del primo sono stato vicepresidente. Il secondo è stato il mio vicepresidente. Esiste una continuità. La cosa che mi piaceva di più di Bubbico presidente era il rigore sulle carte e la volontà estrema di approfondimento. Di Pittella mi piace il rapporto caldo che mantiene con la comunità. E’ una virtù positiva nel tempo della crisi. Sarà una fatica enorme mantenere questo stile: la stanza del presidente della Regione è una stanza dove ribollono cose enormi e mantenere questo rapporto con la comunità è una sfida importante.
Sta subendo una fase “down” da ormai ex presidente?
«Per il momento no. Mi hanno detto che accade ma devo dire che per il momento non è accaduto. Credo però che ci sia una differenza enorme tra fine naturale della legislatura e fine volontaria. Comunque ci sono stati tanti avvenimenti che non mi hanno consentito di fermarmi a riflettere ancora». Ha già notato il ridursi della platea dei “clientes” e di quanti la cercano?«(Ride ndr). L’essenziale non si perde. Si perde il superfluo…».
Binomi nella politica come nello sport. Con le ovvio differenze si può dire che De Filippo e Folino sono come Coppi e Bartoli o Gimondi e Moser?
«Abbiamo avuto spesso idee diverse. Come è giusto che accada in un grande partito come il Pd o ancora prima che eravamo alleati ma in partiti diversi. Io da presidente della Regione in certi casi avrei preferito un dibattito più “soft”».
Ma alla fine c’è molto affetto e stima…
«Assolutamente sì. Magari più stima che affetto (ride ndr)».
Sta per essere nominato nel governo Letta?
«Non c’è dubbio che ci sia un rapporto di grande stima, affetto e amicizia tra me ed Enrico Letta. Non a caso l’ho portato in questa redazione in tempi non sospetti e due estati fa trascorse il ferragosto in Basilicata. Ma che questa stima e affetto possano tramutarsi in proposte non lo so. Al momento non è accaduto».
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