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POTENZA – “Abbiamo sbagliato un rigore a porte vuote”, direbbe Veltroni. E il solo nome fa tremare il quartiere democratico lucano. Questa lunga vigilia di elezioni in Basilicata ci sta restituendo un microspaccato di Italia. Perchè la Basilicata, questo pezzo di osso della Penisola, è ormai dentro i meccanismi della Nazione.
Elettoralmente ce ne eravamo accorti già con i risultati delle politiche e con l’onda lunga dei grillini.
E’ in atto una strisciante personalizzazione della politica. La incarna bene Marcello Pittella. Un salto dalla geografia del gruppo, del consesso di leader, leaderini e correnti che si riunivano al tavolo del gran consesso di guerra tutte le volte che c’erano da prendere decisioni fondamentali, quasi sempre occupazione di potere. Fateci caso: io non penso che Pittella sia sotto scacco della rete degli alleati che ne hanno determinato la vittoria alle primarie.
Egli sta, non so francamente con quanta consapevolezza strategica, mettendo in atto una personalizzazione del comando che è la più grande orticaria che possa avere una cultura di sinistra. Fate caso anche alla difficoltà di noi giornalisti: nello scontro in atto come scriviamo? La guerra tra Pittella da una parte e dall’altra? Ci sforziamo di trovare una sintesi: i lacorazziani, la corrente Bubbico, Folino. E De Filippo, Margiotta, Chiurazzi e tutti gli altri? In fondo se pensate a Renzi vi chiedete a quale schieramento appartenga? Renzi è Renzi. E’ in uscita un interessante libro di Mauro Calise, “Fuorigioco, la sinistra contro i suoi leader”.
Il giornalista napoletano partendo dal principio che anche la sinistra deve sbarazzarsi dal tabù del leader forte e determinato, considera al tempo stesso come la personalizzazione del potere, molto costruita con gli strumenti di comunicazione, faccia spesso da schermo alle fragilità di progetto. Ancora ieri abbiamo raccolto molte indiscrezioni sul nodo Braia: si potrebbe superare facendo candidare qualcun altro della famiglia di Maria Antezza. Francamente a questo punto meglio tenersi Braia.
A dimostrazione di un principio che ho più volte sottolineato: il rinnovamento non si esaurisce con la questione indagati. Perchè il Pd dovrebbe dire no a Braia e sì, ad esempio, alla sorella di Antezza? Chiediamoci dove sono i progetti nuovi, a parte quei consolidati interessi di quartiere e personali (ve la ricordate la storia della cena all’estero con il batterio?). E questo continuo infilarsi dei governi locali nella rete di protezione degli sponsor nazionali di corrente. ma che ne sa la Sereni, vice di Speranza e amica di Antezza, di quali politiche territoriali possono essere orgogliosi i suoi protetti?
Per anni il meccanismi di penetrazione nel consenso è stato a particelle di un unico insieme. Circostanza che quasi sempre è stata terribilmente paralizzante. Lo scatto del governatore De Filippo quando si è dimesso, quella melma che denunciò cos’era se non l’avidità di una politica più famelica dei lupi che il governatore incontra nei boschi di Sant’Arcangelo. Ricordate il teatrino dell’ultima giunta? Quella del funerale del governo regionale? Mi sono andata e rivedere i titoli dell’epoca: esattamente la stesso parlare di questi giorni. Il pericolo vero che annusa la sinistra, in questo momento, è di trovarsi di fronte a un leader unico. E tergiversa nel lanciare il pallone sperando di farlo finire fuorigioco. Siamo davvero davanti a un bivio.
1) Se il gladiatore ha una sua strategia e vince può diventare il leader unico. Un bene o un male? Di sicuro il potere di controllo e di denuncia degli avversari sarà possente e questo è un bene.
2) Se il gladiatore perde il Partito democratico dovrà dimostrare di essere davvero democratico senza rimanere impigliato nel ginepraio del sottinsieme delle correnti come è stato finora.
3) C’è una terza ipotesi: ma la potranno dimostrare solo i cittadini andando a votare.
l.serino@luedi.it
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