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DA un’analisi nemmeno troppo approfondita della relazione tra il voto alle primarie ed il successivo voto vero e proprio, è possibile chiaramente evincere che esiste un rapporto tra quella che è la partecipazione alle due diverse competizioni, che varia da periodo a periodo e da contesto a contesto, anche territoriale. Può essere definito come Rapporto di Partecipazione Primarie – elezioni. Compulsando le competizioni elettorali che hanno una rilevanza statistica maggiore, perché nazionali, è possibile indicare tale numero in 4,42 come rapporto tra i votanti alle primarie di Prodi nel 2005 (4.294.487) e il numero dei voti ottenuti da centro-sinistra alle successive elezioni politiche (19.002.598), con un quarto dell’elettorato del centro-sinistra portatosi a votare a quella competizione preliminare. In una diverso contesto (solo il Pd), il rapporto tra i votanti alle primarie che elessero Veltroni segretario nel 2007 (3.554.169) ed il successivo voto al partito del 2008 (12.095.306) si registrò un indice più basso, pari a 3,40. Il 25 novembre dell’anno scorso votarono, invece, alle primarie “Italia Bene Comune” 3.110.210 elettori, per cui il rapporto con il voto del centrosinistra (10.047.808) in quest’ultimo caso, con un risultato elettorale ultimo non certo incoraggiante, si rivelò ancora inferiore pari al 3,23.
In un contesto territoriale decisamente più piccolo come quello lucano, si è passati dai votanti alle primarie Prodi del 2005 che furono 51.773, alla partecipazione registratasi con le attuali primarie della coalizione “Basilicata Bene Comune” (57.793 elettori) transitando ovviamente per le primarie dello scorso 25 novembre 2012, vinte da Bersani in cui votarono in 45.163, dato a noi più vicino. Basta già questo solo elemento a rendere evidente (senza scomodare i cinesi) come sia anomala la partecipazione lucana del 22 settembre scorso rispetto a delle elezioni primarie (2005 e 2012) che si presentavano, se non come un fatto di costume (con tutta l’attenzione e il rilievo mediatico offerto dalla ribalta nazionale), quanto meno come una manifestazione più generale.
Anomalia che si rivela più evidente se si pone mente al fatto che, proiettando il dato dell’affluenza (57.793 elettori) sul piano elettorale (con una variazione nel rapporto che, come abbiamo visto, può andare da 3,23 a 4,42) il Pd e il Centro democratico (più i socialisti) potrebbero conseguire un risultato alle prossime elezioni regionali pari a 256.240, ovverosia superiore all’85% dei voti che possono ragionevolmente prevedersi. Infine, si tenga presente che i due principali protagonisti delle primarie hanno registrato entrambi un risultato superiore a quello ottenuto nel 2005 dal solo Romani Prodi.
Delle due l’una: o il centrosinistra e il Pd sono in estrema salute oppure il risultato che si registra attraverso le primarie è davvero poco credibile quanto alla partecipazione democratica, specie in questa fase politica. Risultato che, tuttavia, viene difeso soprattutto dalla parte politica risultata soccombente. Con mal riposto senso di responsabilità rispetto al partito, viene preservato uno strumento, le primarie individuate come fondative del Pd ed elemento di innovazione rispetto alle forme di partecipazione democratica. Un’altra conclusione come quella di Napoli sarebbe stata evidentemente esiziale per il gruppo dirigente (lucano e nazionale) che avrebbe dovuto definitivamente sconfessare lo strumento statutario di selezione di quadri e rappresentanti istituzionali. Vero è, invece, che le primarie, soprattutto per come vengono utilizzate qui in Italia (basti ricordare la quasi stucchevole discussione circa le regole tra Renzi e Bersani), senza una regolamentazione legislativa, rischiano di divenire sempre più spesso un elemento che alimenta le incertezze e moltiplica le divisioni. Quando poi vengono utilizzate come sistema per una resa dei conti interna, perdono quello stesso significato di stimolo alla partecipazione democratica. Le primarie in Basilicata, ribattezzate “falsarie” dai contestatori di De Filippo a Tramutola, non ci restituiscono certezza sul piano politico né su quello della prospettiva immediata del centro-sinistra. È comprensibile che gruppo dirigente del PD voglia difenderne il “concetto” e salvaguardarle, finanche riconoscendo la sconfitta in una competizione inquinata e drogata, tuttavia, quello stesso gruppo dirigente dovrebbe prendere atto che il risultato finale (di spaccatura verticale) non rappresenta in nessun modo un passo in avanti rispetto ai nodi politici posti dalla “carta d’intenti Basilicata Bene Comune” (comunque da noi non sottoscritta perché insufficiente). Basti pensare che vicepresidente e presidente della giunta regionale uscente dovrebbero essere i principali garanti e protagonisti di quel rinnovamento e di quel cambiamento (qualcuno lo chiama “coraggio”) richiesto. In pratica, dovrebbero rappresentare e garantire la discontinuità rispetto a se stessi.
Avendo invece posto il problema della questione morale come questione politica e del rinnovamento, anche attraverso un passo indietro dei protagonisti delle ultime vicende politiche della nostra regione, siamo convinti di non poterci rassegnare ad una idea di cambiamento come esclusiva coazione a ripetere della narrazione di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Siamo conviti invece che, specie in una fase di profonda crisi della politica e di antipolitica dilagante, che “un altro centrosinistra è possibile”.
*(Coordinatrice Sel Basilicata)
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