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AVEVO solo 9 anni e passeggiavo nell’unica via dello struscio potentino. Allora il mio sguardo era distratto ed incantato, preso com’ero dall’ammirare vetrine ed insegne luminose.
Ricordo però che ad un tratto mio padre si fermò e mi prese la mano, si avvicinò ad un signore alto ma dallo sguardo sereno e si scambiarono un breve saluto. Rimasi lì a guardarlo con intensità, con lo stesso sguardo con il quale si ammira un’icona pop. Qualche passo dopo mio padre mi disse che quel signore era Emilio Colombo, il presidente Colombo. Non chiesi altro e proseguimmo dritti verso casa.
Dopo qualche anno ritrovai quel volto e quella voce in televisione e nei racconti, quasi mitologici, che a Potenza si facevano. Il primo in tutto, il primo leader politico nazionale della mia regione, il primo italiano a sedere sullo scranno più alto del parlamento europeo. Un senso di ammirazione e di profondo rispetto nei suoi confronti mi ha sempre accompagnato negli anni a venire.
Nonostante avessi deciso di frequentare la piccola sezione degli allora Ds, di cui poi a breve divenni dirigente della giovanile, ho sempre cercato di non farmi contaminare dalla narrazione di parte che i compagni facevano del loro concittadino più illustre.
Ricordo ancora il risultato non felice con Democrazia europea, proprio nella nostra Basilicata. Quella notte fu quasi surreale, forse davvero non c’è mai stata. Ma questo episodio non cancellò una carriera importantissima, legata stretta alle istituzioni, alla loro difesa e al bene supremo della democrazia. Con il suo stile e la sua tempra ha saputo reagire anche ai momenti più duri a cui la vita lo ha esposto. Con fermezza e visione ha saputo dare all’Italia il suo contributo lucido da statista. E ricordo ancora, oggi con particolare commozione, il momento in cui i nostri sguardi e le nostre parole si sono incrociate. Era il 2006, un dicembre rigido come solo l’inverno lucano, con le sue anomalie a Sud, sa essere.
Quel giorno toccava a me tenere il discorso da rappresentante degli studenti durante l’inaugurazione dell’anno accademico. Erano i mesi del governo Prodi, della mia militanza attiva e dell’impegno. Studiai bene per quell’intervento, pubblicai un post sul blog in cui chiedevo a chi mi leggeva di darmi una mano a scriverlo. Una prima forma di crowdsourcing riuscita bene. Ricordo l’emozione e la tensione nervosa, l’ansia di non sbagliare, di dire chiaramente che quelle erano le cose che meglio di altre rappresentavano un pensiero collettivo perchè nate in modo collettivo. Conclusi l’intervento, che conservo ancora qui, in questo modo: «In conclusione vorremmo ricordarvi un motto popolare cinese che quanto mai è utile in questo contesto: Se fai piani per un anno, semina grano. Se fai piani per un decennio, pianta alberi. Se fai piani per la vita, forma ed educa persone. Se nell’era della globalizzazione dei consumi e dei mercati l’innovazione è la nuova sfida che vogliamo vincere è da questo assunto che dobbiamo partire».
L’applauso non fu rituale, davvero, ma soprattutto fu proprio il senatore Colombo ad alzarsi, ad aspettare il mio arrivo, ad avvicinarsi a me e con gentilezza a complimentarsi per quello che avevo appena detto, incoraggiandomi ad andare avanti con forza e coraggio. Parole che non si dimenticano, che restano ferme nella memoria e nel cuore. Perché a dirmele era un pezzo della storia d’Italia, un uomo straordinario, un padre costituente, che giovanissimo ha avuto la forza e la capacità non comune di diventare un grande. Sorrisi, ringraziai e con lo sguardo timido me ne andai al mio posto.
Negli anni successivi ebbi modo di rivederlo e riascoltarlo, un paio di volte di scambiare qualche parola, ma ogni volta il mio sguardo era lo stesso del primo incontro, a nove anni, in via Pretoria: incantato, ammirato, rispettoso.
Oggi provo un dolore intenso per la perdita del senatore Emilio Colombo. La politica ne tragga insegnamento dalla lezione del suo pensiero, non ultimo quello lucidamente espresso durante il suo intervento da presidente del senato, il primo giorno di questa legislatura. Ricorderò sempre il suo altissimo senso dello stato, il suo europeismo convinto, il suo essere politico del Sud e l’aver fatto la storia d’Italia, insegnamenti che solo un grande uomo come lui poteva donarci.
@sergioragone
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