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POTENZA – A novembre l’immagine plastica della contestazione l’avevano offerta gli studenti delle scuole superiori tirando uova e fumogeni contro le finestre del parlamentino di via Verrastro. Un mese prima era esploso lo scandalo dei rimborsi per le spese di segreteria e rappresentanza dei consiglieri, quando finanza e carabinieri avevano fatto irruzione nel palazzo per sequestrare la contabilità. Ma la crisi vera e propria si era aperta soltanto da una settimana, con le dimissioni del vicepresidente accusato di concorso esterno nella “famiglia” dei basilischi.  
E’ una Regione sotto scacco dei pm l’ultimo baluardo del Pd nel mezzogiorno, la regione a cui Bersani durante la campagna elettorale ha detto di guardare quando cerca «qualcuno che sappia di cultura di governo». Con l’uscita di Agatino Mancusi dalla giunta guidata dal lettiano Vito De Filippo perde forza l’alleanza con l’Udc spesso considerata come un modello di successo soprattutto in prospettiva nazionale. E se l’opposizione si divide tra falchi e colombe, la sfida è contro i numeri del Movimento 5 stelle che alle elezioni si sono rivelati primo “non partito” in entrambi i capoluoghi. 
Da una parte c’è dunque il fuoco della magistratura, che ha già messo in luce le relazioni pericolose tra l’ex assessore e il braccio armato del clan egemone sui traffici di cocaina a Potenza e dintorni, e al centro del giallo sul più misterioso omicidio di mafia mai registrato a queste latitudini, quello dei coniugi Patrizia e Giuseppe Gianfredi trucidati sotto casa il 27 aprile del 1997 davanti agli occhi dei loro bambini. A far paura è tuttavia l’inchiesta sulle spese per «l’esercizio del mandato senza vincolo di mandato» dei membri del parlamentino di via Verrastro, partita a ottobre sull’onda dei casi venuti a galla nel Lazio, in Lombardia e in Campania grazie anche a una campagna stampa intrapresa dal Quotidiano della Basilicata. 
Dall’altra invece ci sono loro, gli attivisti 5 stelle che dieci anni dopo, per tanti aspetti, ricordano la mobilitazione del movimento di Scanzano, quei centomila che riuscirono a far fare retromarcia al governo e alla Sogin del generale Jean sul progetto del deposito unico di scorie nucleari a Trisaia di Rotondella. Solo che stavolta alla guida della contestazione non c’è il governatore diessino Filippo Bubbico. Al suo posto, un po’ come lo stesso Beppe Grillo rimasto fuori dal Parlamento per colpa di una vecchia condanna per omicidio colposo, c’è un tenente della polizia provinciale, Giuseppe Di Bello, accusato di aver rivelato i dati di un’informativa sull’inquinamento delle acque del Pertusillo. 
Di recente un’inchiesta condotta dalla procura di Potenza avrebbe escluso l’esistenza di fondati motivi di preoccupazione, ma il sospetto che le estrazioni di petrolio portate avanti in Val d’Agri  dall’Eni negli ultimi dieci anni possano averci qualcosa a che fare è difficile da allontanare del tutto. Specie se episodi di sversamenti abusivi di fanghi di perforazione non sono mancati nella breve storia petrolifera lucana, come a Corleto poco distante da dove dovrebbe sorgere il nuovo centro oli “Tempa rossa” di Total. Crimini che si portano dietro un carico inquietante di morti per tumore. Ma il tempo intercorso tra ai fatti e la denuncia ha impedito di accertare fino a che punto le due cose possono essere messe in relazione. 
Certo è che l’impatto ambientale e l’insoddisfazione per il livello della royalties riconosciute ai territori assieme formano una miscela incandescente. Perciò i programmi di aumento della produzione annunciati da più parti inclusi i vertici della Regione (prima della dubbia moratoria approvata la scorsa estate) finiscono per fare a pugni col senso comune di un furto perpetrato ai danni della gente. 
A questo andrebbe poi sommato lo strascico del caso esploso attorno alla contaminazione della falda sotto il termovalorizzatore Fenice di San Nicola di Melfi: dati nascosti per anni nei cassetti dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente, mentre le microspie dei carabinieri registravano le promesse dell’ex dg ai suoi funzionari in cambio di voti per le primarie regionali del Pd. Un anno e mezzo fa è stato proprio a causa di quest’inchiesta che era saltata la quinta giunta De Filippo, la prima dalla sua rielezione, con il “dimissionamento” forzato dell’allora assessore Erminio Restaino, accusato di aver raccomandato l’assunzione di alcuni lavoratori interinali da parte dell’ente. 
Pochi giorni prima, prendendo la parola in un’infuocata direzione del partito, Restaino avrebbe denunciato l’esistenza di una vera e propria «procura parallela» ai vertici della Regione da cui sarebbe stato processato e condannato senza possibilità di appello. E nemmeno due mesi più tardi, a gennaio dell’anno scorso, era venuta a galla Toghe lucane 2, l’inchiesta su un presunto complotto spionistico-giudiziario per colpire alcuni magistrati scomodi come il pm Henry John Woodcock. Tra i mandanti, per la procura della Repubblica di Catanzaro, ci sarebbe stato «l’estabilishment» politico-imprenditoriale lucano, perciò di nuovo il Pd. Tant’è vero che agli atti sono finiti anche dei filmini degli incontri in Autogrill dell’allora deputato Antonio Luongo con l’ex 007 del Sisde Nicola Cervone, considerato l’autore di dossier scottanti su diversi personaggi influenti. Proprio questo è stato alla base del passo indietro compiuto da Luongo di fronte ai garanti incaricati dal Pd di vagliare le proposte di candidature a livello nazionale, assieme a una vecchia imputazione per corruzione nell’ambito di un’inchiesta sulle presunte infiltrazioni della malavita sugli appalti di diverse pubbliche amministrazioni in regione. 
Cartucce formidabili per chi punta al voto di protesta. Motivo per cui i vertici del Pd stanno pensando di esternalizzare la giunta regionale, riducendo a 4 gli assessorati e affidandoli a personalità prese all’esterno del circolo ristretto della politica locale: esperti, professori, testimonial. I nomi che si fanno sono tanti. Manca soltanto lo sportivo, ma si sa che in Basilicata i campioni sono merce rara. Almeno per loro il rischio di un avviso di garanzia per essersi appropriati di denaro pubblico o averne sperperato una quantità in viaggi, ristoranti e spese personali dovrebbe essere scampato. Una giunta anti-Grillo insomma, più di una giunta di tecnici, visto il fallimento a Roma di chi ha provato ha fermare lo tsunami a 5 stelle negli scorsi mesi. Qualcosa che evochi lo spirito siciliano del neo-governatore Crocetta senza la traversata del Basento a nuoto per riportare lo spread giudiziario a livelli più accettabili. 

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