6 minuti per la lettura
Si è innocenti fino alla sentenza definitiva”, mi ammoniva mercoledì sera su Twitter, il penalista e consigliere regionale Alessandro Singetta, cosciente che la cronaca giudiziaria del giorno dopo sarebbe stata impegnata a rendere conto del processo sui fatti del Potenza calcio, ma non sapendo invece che per quanto riguarda il nostro giornale, saremmo stato costretti ad incrociare ad ora tarda la precedente vicenda con ulteriori avvisi di garanzia per indagini su mafia e politica. Con persone alle prese con una vicenda pirandelliana che merita di essere scandagliata nella sua profondità e che a chi vuol ragionare e non vuole nascondersi fa chiedere: ma esiste mafia in Basilicata?
Di sicuro esiste una Giustizia, lenta, stretta in ordinamenti speciali ed emergenziali, ma che dimostra di avere i suoi contrappesi che permettono di avere garanzie alla difesa e possibilità di orientamento su quello che accade nel nostro vivere quotidiano.
Il gup Rosa La Rocca, ad esempio, nella clamorosa (da un punto di vista mediatico) vicenda del Potenza calcio del giovane presidente Giuseppe Postiglione, ha stabilito che non c’era associazione mafiosa, nonostante quello che ha sostenuto il grande accusatore, il boss (quindi c’è una mafia?) Cossidente, condannato (anche lui stavolta non per mafia) con rito abbreviato a 4 anni per quei fatti che oggi fanno letteratura nei libri su mafia e calcio (vendono tanto i libri su cosche e ‘ndrine) e che adesso vanno rettificati. Perché il processo a 12 imputati che si aprirà nel febbraio dell’anno prossimo riguarda associazione semplice finalizzata alla truffa e alla frode sportiva che non è un merito, ma non ha il peso di essere partecipe alla mafia. Va ricordato che il poliziotto Marino Ianni è stato assolto, mente un ispettore, Giuseppe Botta, è stato condannato perché “cantava” quello che avveniva sul fronte delle indagini.
La sentenza ci dice che Postiglione non ha fatto incendiare l’auto né tantomeno minacciato l’ex responsabile del settore giovanile. L’ex presidente del Potenza al momento è sotto processo per aver lucrato sulle partite della sua squadra in un clima molto torbido e oscuro. Niente security mafiosa alle porte del Viviani. E anche il consigliere regionale Luigi Scaglione, per la vicenda del nuovo stadio, non ha avuto rapporti con la mafia lucana, ma deve sottoporsi a processo perché si sospetta abbia fatto parte di un’associazione a delinquere. Un punto significativo per il popolare politico lucano scrollarsi da dosso l’accusa piu’ pesante e infamante. Ma quella mafia potentina uscita dalla finestra, per il malcapitato Scaglione, è rientrata dal portone vergata sull’avviso della conclusione delle indagini preliminari nei suoi confronti, ma anche del dimissionario assessore regionale Agatino Mancusi e del suo grande elettore Luigi Biscione, del consigliere comunale Roberto Galante e dell’ex assessore comunale, Rocco Lepore, già condannato a sette anni per concorso esterno (quindi forse la mafia esiste a Potenza), messi in triste compagnia del solito Cossidente e del suo luogotenente Carmine Campanella. Che il primo sia collaboratore acclarato e l’altro detenuto al 41 bis ci dicono che questa mafia c’era nella tranquilla Basilicata.
Ma cerchiamo di leggere questi fatti che un caparbio magistrato ha cercato, sviscerato, analizzato per capire che facevano assieme politici noti, votati, autorevoli con tutta la banda del clan Cossidente ( e qui c’è una precedente sentenza che questi signori li condanna come mafiosi).
Mancusi e il suo amico Biscione sono sospettati di aver avuto un mutuo soccorso con questo clan Cossidente, che non sarà la cosca Piromalli ma neanche un club di gentiluomini. C’era Campanella che all’autista di Mancusi al telefono parlava di come far sistemare i suoi amici: “Per quelle persone che è piu’ necessario… facciamo andare piu’ di qualcuno là” e lo stesso luogotenente aveva trovato lavoro all’Ilpea con Adecco e sperava che il consigliere Mancusi potesse stabilizzarlo. Normale clientela, ma se sei in odor di mafia tutto cambia. E poi ritorna il Potenza calcio, non quello di Postiglione, ma quello precedente, con Cossidente il boss che esulta al telefono con Telesca “Agatino è entrato in società”. Perché la guardiania al Viviani Mancusi l’avrebbe garantita assicurando a Campanella al telefono “ma quali napoletani, chiamiamo gli amici, è una forma di rispetto nei tuoi confronti”. Forse millantava Mancusi, si sa i politici spesso promettono fandonie, o supportava il clan senza rendersene conto? E se poi il gup ci dirà che non erano mafiosi come nel caso di Postiglione? E poi all’Oasi del Pantano, prima delle Regionali del 2005, quella “riunione operativa” dice Mancusi, quella “cosa molto stretta” sarà giudicata normale attività politica o voto inquinato dalla piovra mafiosa? Oppure quell’altra riunione, al ristorante “La Pineta”, in cui Biscione chiede voti per il Comune e poi quando viene trombato e se ne lamenta con Mancusi e questi lo redarguisce non sapendo di essere intercettato affermando: ..non parlar male degli amici che meritano rispetto perché qualcuno di questi potrebbe offendersi..e ti viene a tagliare la testa”. Materia per avvocati. Millanterie da svagato, castelli in aria, o questi potentini veramente tagliavano le teste come i petilini della Brianza?
Anche Galante, mastelliano, poi dipietrista, poi postmastelliano nel Don Uva oggi collassato veramente ha favorito le ditte dei mafiosi e dato in uso locali della struttura a Cossidente per risolvere questioni di debiti? E Scaglione, brillante politico, nelle piccole pratiche di mutuo soccorso municipale che ognuno al Sud attua nel suo agire era cosciente di favorire la mafia, oppure teneva buono uno di quei malamente di quartiere che, sempre al Sud, conosci da quando sei ragazzino?
C’è mafia a Potenza? C’è mafia in Basilicata? In effetti non conviene dirlo. Tutti in Italia pensano che non ci sia. E a mio parere, confesso che è una cosa buona, perché al Sud se pensano che non c’è conviene a favorire investimenti buoni. Ma poi se bruciano i depositi di ortofrutta nel Metapontino forse la mafia c’è. E a Potenza forse erano dei bulli mezzi gangster, o dei guappi di quartiere e forse a Napoli a qualcuno l’avrebbero chiamato anche guappo di cartone che significa niente. Ma per le leggi di quel Paese non normale che si chiama Italia, anche a Potenza quel gangster, quel guappo di quartiere e anche il guappo di cartone sono mafiosi, e se tu politico lo aiuti, ti fai dare i voti, gli porti rispetto il codice puo’ sentenziare che sei colluso con loro in “concorso esterno”, perché per il codice non ci sono politici di cartone ma soltanto funzioni. Oppure un giudice terzo stabilirà anche questa volta che era un’associazione di altro tipo o che erano fumus quelle intercettazioni, quei dialoghi, quelle riunioni? L’unica certezza è quella dell’avvocato Singetta: “Si è innocenti fino alla sentenza definitiva”. Ma oggi, purtroppo, ed è un danno per tutti, questo a chi sta in politica non basta.
E’ la mafia in Basilicata c’è? Forse sì, forse no, forse è un ibrido: un problema solo per qualche giornale e per chi è costretto a bere l’amaro fiele dell’essere indagato.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA