La notizia degli interrogatori dei suoi più stretti collaboratori non era nelle edicole da più di sei ore dopo uno stillicidio durato quasi due anni, fatto di accuse nei verbali di almeno due procure e nelle udienze dei processi che sono già in corso. In un’occasione tutto era avvenuto davanti a una scolaresca in visita nel Palazzo di giustizia di Potenza, ma non s’era mossa foglia. Ieri invece è andata in maniera molto diversa e alle 12.30 le dimissioni del vicepresidente della giunta regionale erano già state offerte e accettate dal governatore Vito De Filippo. Ha deciso di fare un passo indietro in attesa della fine delle indagini nei suoi confronti, e delle determinazioni della magistratura inquirente Agatino Mancusi, in questa legislatura prima assessore all’ambiente poi alle infrastrutture, le opere pubbliche e la mobilità. Lo ha fatto con un breve comunicato pubblicato dall’agenzia di stampa della Regione e seguito due minuti più tardi da una nota di De Filippo che ha annunciato di «accogliere con rispetto e ammirazione questa scelta» assumendo “ad interim” le sue deleghe con l’augurio di chiarire «nel minor tempo possibile» la sua posizione. «Ho sempre operato nella più totale moralità, nel rispetto della legge e per il bene della mia comunità, evitando fermamente ogni contatto con realtà criminali, ambigue e discutibili». Ha ribadito Mancusi rispetto all’accusa di avere intrattenuto delle relazioni quantomeno pericolose con esponenti di spicco della ‘ndrina guidata dal boss Antonio Cossidente, collaboratore di giustizia da ottobre del 2010. «Con sorpresa, stupore e profonda amarezza apprendo dalla stampa – ha spiegato l’ex vicepresidente della Regione – di essere indagato dalla Procura della Repubblica di Potenza con l’ipotesi di “concorso esterno”, sulla base delle dichiarazioni di un pentito che non rispecchiano, per quel che mi riguarda, il mio agire politico ed umano, passato e presente, e la realtà dei fatti, evidentemente distorta (…) Ho piena fiducia nella giustizia – ha proseguito l’ex assessore – perché, pur profondamente addolorato, sono certo che la verità trionferà riportando luce, equilibrio e serenità sui fatti di cui si parla». Mancusi, che è anche segretario regionale dell’Udc, ha confessato di sentire in questo momento senza dubbio drammatico: «il conforto e la forza del fatto che le notizie che lasciano me incredulo lasciano ancor più stupite le tante persone che nel corso degli anni mi hanno conosciuto e testimoniano quanto lontano dal mio sentire e dal mio agire quotidiano sia uno scenario quale quello che viene delineato da talune ipotesi. Professionalmente, umanamente e politicamente – ha affermato sfidando chiunque sostenga il contrario – tutti conoscono la mia onestà e la mia serietà e ne sono testimoni». Infine le ragioni di un gesto rarissimo al giorno d’oggi, le dimissioni: «Ho sempre inteso l’impegno politico come spirito di servizio, e servizio alla comunità significa essere pronto a dare il proprio contributo, quando serve, come a fare un passo indietro quando questo può essere utile. Coerentemente con questa visione rimetto pertanto il mio mandato nelle mani del Presidente della Regione con senso di responsabilità e rispetto delle istituzioni, assicurando al tempo stesso che non farò mai mancare il mio impegno in rappresentanza di quanti mi hanno dato e, in queste ore, mi rinnovano la propria fiducia, e in favore della Basilicata e del Paese». Mancusi è accusato di aver fatto incetta dei voti del clan guidato da Antonio Cossidente, il boss della calciopoli rossoblu e del misterioso omicidio Gianfredi, tra il 2004 e il 2005. In cambio avrebbe propiziato l’affidamento ai reduci potentini della diaspora della “famiglia tutta lucana” della sicurezza all’interno dello stadio comunale Viviani, soppiantando gli uomini dell’altro storico clan del capoluogo, quello guidato da Renato Martorano. A rivelarlo è stato Cossidente in persona quando ha iniziato a collaborare con la giustizia, a ottobre del 2010. La loro conoscenza – stando sempre al boss pentito – risalirebbe al 2002 non appena il boss è uscito dal carcere per scadenza dei termini di custodia cautelare dopo il maxi-blitz della prima operazione contro la “quinta mafia”, quella partita a seguito della morte di un agente di polizia (Francesco Tammone) ucciso da uno dei suoi “sodali” calabresi durante un controllo finito male. Qualcosa di simile si sarebbe ripetuto per la discoteca di proprietà di un fedelissimo dell’assessore: di nuovo voti in cambio di lavoro. I rapporti col vicegovernatore, all’epoca soltanto consigliere regionale di opposizione eletto nelle file di Forza Italia, sarebbero stati così stretti che nel 2004 Mancusi, per rispetto del boss, sarebbe andato anche a casa del padre di Cossidente per dargli le condoglianze. E di lì a qualche mese l’assessore sarebbe stato rieletto anche con le preferenze del clan, questa volta sotto le bandiere dell’Udc.