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CATANZARO – «Informo il deputato Guido Crosetto che la ‘ndrangheta ha messo radici anche nel suo Piemonte, non a caso nei giorni scorsi il Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, ha provveduto a sciogliere il consiglio comunale di Leinì, in provincia di Torino, per infiltrazioni di stampo mafioso. Dunque anche il Piemonte comincia ad assumere le stesse brutte fattezze della Calabria, con il rischio conseguente di frequentazioni inopportune». È quanto afferma, in una nota, Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori e consulente della Commissione parlamentare per l’Infanzia, commentando le dichiarazioni fatte dall’ex sottosegretario Guido Crosetto, del Pdl, nel corso della puntata di Domenica In L’Arena condotta da Massimo Giletti. Il parlamentare ha detto «mi rifiuto di andare in Calabria. Non vado e sa perche?. Perchè non so con chi mi posso trovare a competere. L’Italia va a cinque, sei o sette velocità e quella è la parte più brutta dell’Italia».    «Affermare che la Calabria è la parte più brutta d’Italia significa non conoscere il Paese che pure egli è stato chiamato a governare per un certo periodo di tempo – sostiene Marziale – e ciò la dice lunga sulle ripercussioni negative che sul territorio calabrese certo pensiero produce. Rifiutare di andarci significa omettere gravemente le funzioni proprie di un rappresentante del Parlamento nazionale, che ha l’obbligo, invece, di occuparsi dei problemi del Paese e non solo di una fetta di esso. A questo punto Crosetto lasci la Camera dei Deputati e si faccia eleggere in Consiglio regionale, così si occuperà soltanto dell’Italia che gli piace».   «Da gente che, come Crosetto,ricopre ruoli istituzionalmente rilevanti – prosegue ancora Marziale – ci si aspetta gesti di sostegno non già di offesa. Spero che il presidente della Camera dei Deputati, Gianfranco Fini, voglia stigmatizzare le affermazioni di Crosetto e spiegare allo stesso che la ndrangheta non è più soltanto un fenomeno calabrese, bensì transnazionale, la cui sconfitta diventa problematica se un rappresentante del popolo la riduce a mera rappresentazione folkloristica».

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