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Il viadotto sul Polcevera crollato a Genova alla vigilia di Ferragosto

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SUL dolore straziante per le vittime del crollo del ponte a Genova non c’è molto da aggiungere. Sulla ridda di ipotesi  sulle cause del disastro neppure, stessa cosa sulle eventuali responsabilità. Sulle prime si pronunceranno i tecnici, sulle seconde l’autorità giudiziaria, al netto di proclami di vecchi e nuovi condottieri della politica italiana.
Molto da dire, invece, c’è sulla insufficiente sensibilità della classe politica e dirigente sui temi della sicurezza del territorio e sulla praticamente nulla consapevolezza, nei cittadini, di quanto invece quel tema sia prioritario. Non sono ipotesi, è la storia recente di questo paese. Intanto, per esser chiari, la prevenzione riguarda un ponte esattamente come una strada, una diga, un centro abitato esposto a rischio idrogeologico, una scuola ospitata in una vecchia costruzione in un’area ad altissimo rischio sismico. E la prevenzione non può considerarsi esaurita in opere di manutenzione, anche quando ad esse ci si arrivi. Se una strada a ridosso di un centro abitato viene giù come una pietra tondeggiante rotola da una montagna, cosa che – ad esempio – tante volte è accaduta in Calabria, quale sensazione sarà percepita dai cittadini di quel comune nelle settimane e nei mesi a venire? Il rischio al quale, evidentemente, è esposto quel territorio o, piuttosto, il disagio per la strada chiusa al traffico con conseguenti percorsi alternativi lunghi e tortuosi? Rischio e disagio. Fino a quando il secondo prevarrà sul primo, i temi della vulnerabilità del territorio saranno meno popolari (e anche meno appetibili politicamente per raccattare consensi) di quanto invece la realtà richieda. E ad ogni disgrazia, più o meno ponderabile, più o meno naturale, ma che comunque avrebbe potuto avere conseguenze meno nefaste se non addirittura nulle per la vita della gente, seguirà il dolore, la rabbia, la richiesta di trovare i responsabili… tutte cose che quasi sempre durano quanto un temporale d’estate, per poi fare posto non al bel tempo, ma ad una parvenza di sereno. Qualche giorno fa, Clemente Mastella, che oggi fa il sindaco a Benevento, di fronte a dubbi di ordine tecnico ha ordinato la chiusura di un ponte (pure strategico per la circolazione della sua città) sostenendo che sono meglio “i disagi delle disgrazie”. Ha fatto bene. 
Così come farebbero bene, per esempio, i sindaci a non far riaprire le scuole ospitate in edifici sui quali non sono state effettuate le prove di vulnerabilità sismica, che pure sono obbligatorie (la scadenza prevista dalla legge è fissata tra qualche giorno). E nelle zone a rischio sismico più elevato (gran parte della Calabria, sempre per fare un esempio) bene farebbero i prefetti a impedire le attività scolastiche in edifici dubbi qualora non vi provvedano i sindaci. Disagi? Pazienza.  
Ma tutto questo è utopia, in un Paese in cui gli interventi per adeguare le strutture scolastiche alla normativa antisismica vengono messi a bando, cioè i fondi sono solo questi e chi è più bravo (in cosa? Nel compilare la domanda?) adegua le scuole, gli altri aspettino altri bandi. Pare davvero incredibile, e questa incredulità è forte anche se solo per poco, giusto per il tempo in cui l’Italia resta tramortita da questo o quel disastro. Poi torna il sereno e chi se ne frega del rischio sismico. Partecipate ai bandi, c’è tempo.
Rischi e disagi: la scelta vale per i ponti sospetti come per le scuole. La tragedia di Genova ha innescato dappertutto allarmi e allarmismi, soprattutto sulla stabilità di viadotti. Gli allarmismi non servono, gli allarmi è bene che restino attivati, anche tra un mese, tra sei, tra un anno. 
Un altro piccolo affresco: nelle scorse settimane sul Tirreno cosentino, per iniziativa della Facoltà di Ingegneria dell’Unical, si sono ritrovati esperti e docenti da tutta Italia a parlare di vulnerabilità del territorio. Giornate intere di seminari con testimonianze e illustrazione di progetti elaborati dai tanti competenti che in Italia ci sono. Ovviamente non s’è visto politico o amministratore ad ascoltare, nonostante la Calabria sia terra esposta a rischi enormi. Anzi, e i riferimenti non erano solo alla Calabria, né soltanto al Sud per capirci, nei corridoi si parlava anche di aspetti meno scientifici, per esempio del disinteresse di amministratori pubblici per l’attuazione di progetti di prevenzione che in alcuni casi pure erano stati finanziati con fondi pubblici. Buttati al vento.
Rischi e disagi. Se quando c’è il sole i disagi appaiono assai impopolari, insopportabili, inutili, anche se necessari per attenuare i rischi, quando poi vite umane vengono spazzate via riaffiora il dubbio che forse tutto sarebbe stato evitabile, e allora anche il dolore nazionale si può ammantare di retorica. Quanto fa male pensarlo…  
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