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Il baciamani al boss

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C’È una grande dose di ipocrisia, conformismo e retorica dietro le polemiche per l’arresto del latitante Giorgi a San Luca. Molte indignazioni sono genuine e in buona fede, ma altre sono subdole, tradiscono un retropensiero ben nascosto in certi cervelletti pigri e afflitti da banalità diffusa. La tentazione forte di un sillogismo segreto e riprovevole: il baciamano al boss è la prova vivente e filmata della sottomissione culturale della Calabria all’ideologia e ai valori della ‘ndrangheta. Qualcuno ha anche scomodato le tradizioni ataviche. Una trappola nella quale sono cascati anche molti bravi opinionisti.

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C’è gente che non aspettava altro per fare questa semplicistica operazione; e adesso si compiace, scomodando tutti i luoghi comuni sul Sud e l’antropologia da bancarella. Un copione antico: la voglia dei safari giornalistici tra i guai e le tristezze di un pezzo d’Italia tradito e abbandonato da tutti per secoli e secoli. E magari quel gesto verrà anche utilizzato e strumentalizzato dal duo Maroni-Salvini per dare corda al referendum sull’autonomia di Veneto e Lombardia. Sembra già di sentirli: più soldi al Nord, siamo stufi di vedere le nostre tasse finire nelle tasche degli amici dei mafiosi. Come se non si sapesse che la ‘ndrangheta è arrivata anche nei gangli dell’economia di mezza Europa e qualche esponente di spicco i leghisti l’avevano proprio in casa. Ma che cosa pretendevano certi teorici dell’antimafia a distanza? Che appena visto l’arresto del boss gli abitanti di San Luca scendessero in strada con striscioni e cartelli per condannare la mafia? E chi credete che abbia protetto la latitanza di Giorgi per 23 anni? O c’è anche qualcuno che pensa che per tutti questi anni il latitante sia rimasto sempre nascosto nel loculo accanto al camino, senza mai uscire e circolare per il paese? E quegli euro nel cellophane come credete che siano finiti lì? Grazie al lavoro per corrispondenza, visto che la latitanza è iniziata quando c’era ancora la lira? Signori, in certe zone del Sud (e non solo), comandano le mafie, non a caso si sciolgono di continuo consigli comunali infiltrati.

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A San Luca e in tanti altri luoghi della Campania e della Sicilia, i bambini apprendono prima come convivere con la logica dei clan e poi gli articoli della Costituzione. Ogni mattina i giornalisti calabresi vengono svegliati dalle forze dell’ordine per raccontare un’operazione antimafia. Con tutti i limiti di mezzi e di personale, c’è una magistratura che assedia le ‘ndrine da anni, sequestrando beni, compiendo arresti, tirando fuori dalla zona grigia nomi e personaggi insospettabili e meschini. Ma è come svuotare il mare. Di rado queste retate finiscono nei Tg o sui giornali nazionali. Poi basta il baciamano di un mentecatto e fioriscono titoloni e indignazione. La ‘ndrangheta c’è, esiste, comanda, decide, uccide, ma da qui a far passare tutti i calabresi per mafiosi è assurdo e falso. In molti paesi, gli uomini e le donne delle ‘ndrine sono mescolati agli altri, non vivono in ghetti isolati. C’è solo un confine ideale a dividere la loro azione dalle persone perbene. Una frontiera pericolosa, che può costare la vita o rovinartela. I boss gestiscono aziende, supermercati, stabilimenti, producono redditi e danno occupazione. Senza contare le estorsioni, la concorrenza violenta e oppressiva agli imprenditori che agiscono in proprio. Una presenza ingombrante che assedia le esistenze tutti i giorni. Una presenza che vive di complicità, altrimenti come spiegare certe resistenze alla vigilia dell’arrivo di magistrati che vogliono applicare la legge.

E lo Stato? Già, lo Stato: dovrebbe avere il volto rassicurante dei servizi, dei posti di lavoro, di scuole e ospedali che funzionano. Invece spesso veste solo i panni di magistrati, carabinieri, forze di polizia, sindaci, sindacalisti e giornalisti coraggiosi. I clan muovono voti e questo basta per allacciare rapporti e complicità agli arrivisti della politica. La liturgia degli inchini, dei baciamano, delle riverenze appartiene alla Calabria che ha fatto un’altra scelta di campo. Se questa mafia è riuscita a diventare fra le più potenti del mondo è perché può contare su un diffuso consenso sociale, oltre a complici in giacca e cravatta, seduti tranquilli nelle istituzioni. Perché far finta di scandalizzarsi? Dimenticare questo, significa non voler guardare la realtà in faccia, Ci sono migliaia di calabresi che hanno indossato la maglietta del male: hanno collocato famiglie, parenti, amici e sostenitori dall’altra parte rispetto allo Stato. Ci sono e ci saranno ancora per molti anni se non si svuotano e si cambiano le teste in realtà come San Luca. Sono mafiosi e si comportano come tali. Vanno combattuti, repressi, sconfitti, ma anche aiutati a uscire dal giogo mortificante dove li ha rinchiusi la Storia. Pretendere di più da loro, senza un’alternativa credibile è solo una utopia. Ma l’errore peggiore è quello di dimenticare e offendere quelli che sono rimasti con orgoglio e dignità nell’altra squadra, quella della legalità. Perché questo a Sud del Garigliano è molto più faticoso e pericoloso che a Milano o a Bergamo.

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