Antonio Puccio mentre dirige l'orchestra
8 minuti per la letturaCATANZARO – Antonio Puccio sale sul podio dell’Auditorium di Milano per dirigere uno dei più acclamati dittici sinfonici di sempre: protagonista del programma di sala Ludwig van Beethoven di cui l’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi eseguirà la Sinfonia n. 5 in do minore Op. 67 e la Sinfonia n. 7 in La maggiore op. 92. Un concerto che segna l’esordio di Puccio alla testa di una delle più importanti formazioni sinfoniche italiane.
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L’ORCHESTRA NELLO STABAT MATER DI PERGOLESI
Il 19 aprile lei dirigerà a Milano l’Orchestra Sinfonica “Giuseppe Verdi”. Il programma di sala prevede un doppio Beethoven. Una scelta che è anche una sfida?
«Direi certamente di sì, poiché le due Sinfonie in programma rappresentano senza dubbio l’acme della produzione Beethoveniana: da un lato esprimono la profonda e complessa interiorità dell’artista, dall’altro mettono in luce le sue straordinarie doti di creatore di strutture architettoniche di rara bellezza».
Cosa che capita di rado, per l’occasione lei è anche autore delle note del programma di sala…
«La decisione di scrivere le note di sala mi è stata suggerita da Ruben Jais, direttore artistico de La Verdi di Milano il quale, dopo un lungo scambio di opinioni sulla scelta esecutiva che avrei fatto per le due Sinfonie in programma, mi ha proposto di rendere partecipe il pubblico di tali scelte, redigendo io stesso le note di sala che solitamente sono affidate a musicologi e storici della musica che poco hanno a che fare con l’esecuzione delle partiture delle quali scrivono…».
Lei ha studiato Pianoforte, Composizione, Direzione d’orchestra, Canto e Direzione corale, Filosofia, Psicologia ed Estetica della musica… ma cosa fa di “un” direttore d’orchestra “il” direttore d’orchestra, ovvero colui che dà il suono riconoscibile alla compagine orchestrale?
«Questa è una domanda piuttosto complessa che merita, a sua volta, una risposta molto articolata. Una parte sostanziosa della risposta, risiede nel lavoro preparatorio che il Direttore compie lontano dall’Orchestra e che lo vede impegnato sotto diversi fronti spesso antitetici l’uno all’altro. Per prima cosa bisogna affrontare lo studio della partitura in modo strettamente analitico: innanzitutto quello strutturale, cioè della forma e delle concordanze che legano le diverse micro strutture interne; poi c’è l’elemento ritmico-armonico che muove letteralmente le diverse sezioni nella direzione che darà infine vita alla forma musicale composita. Ci sono poi altri fattori determinanti del lavoro preparatorio, dalla cui interiorizzazione – dalla sua profondità, dalla personalizzazione, dal grado di comprensione e dalla rielaborazione in chiave interpretativa – dipenderà il successivo e definitivo lavoro con la compagine orchestrale. In ultimo dirò che, dopo le consuete indicazioni di ritmo e di fraseggio, l’orchestra si aspetta dal Direttore quel particolare gesto che ha in sé la parte più importante ai fini di una esecuzione emozionale e che, proprio per questo, non potrà mai essere espresso attraverso un linguaggio verbale».
Nel 2006 ha seguito Claudio Abbado in diverse tournée internazionali. Chi era Abbado?
«Nel mio percorso formativo e professionale Abbado ha rivestito un ruolo decisivo. Nel 2006 gli scrissi una lettera nella quale esprimevo il desiderio di poter seguire da vicino il suo lavoro con le diverse grandi orchestre con le quali lavorava. Abbado mi fece chiamare e mi propose, egli stesso, di seguirlo in diverse Tournée internazionali. Da lui ho imparato la lezione più importante: se sai dirigere, lo sai solo tu, poiché nessun altro potrà mai svelare ciò che è riposto nella profonda consapevolezza di sé… Le sue parole, insieme alla stima e all’affetto che mi ha riservato, mi accompagneranno per sempre, e per questo non smetterò mai di essergli grato…».
E chi è Antonio Puccio?
«Per rispondere a questa domanda devo necessariamente dire che il ruolo di un interprete ha, da sempre, una duplice responsabilità: prima verso il compositore, poiché nella sua veste di esegeta ha il compito di tradurre, con estrema precisione, tutti i codici musicali che racchiudono il pensiero più nascosto e misterico che questi ha posto con cura sulla carta; successivamente verso il pubblico che riversa in lui (interprete) una fiducia pressoché incondizionata, poiché egli è il solo in grado di dare voce a tante partiture che diversamente sarebbero ad un tempo belle ma silenti…».
Tra i direttori d’orchestra quali i punti di riferimento?
«Il Novecento ha prodotto un gran numero di grandi direttori che meritano, senza dubbio alcuno, di essere annoverati tra i grandi interpreti di sempre per via del loro preziosissimo lascito. Un grande direttore d’Orchestra è tale solo se produce, nel corso della sua carriera, interpretazioni significative che in seguito consentiranno alle successive generazioni di direttori di proporre nuove soluzioni interpretative. Salire su un podio e agitare una bacchetta non equivale ad essere un grande Direttore-Interprete…Tra i grandi del passato, non posso fare a meno di menzionare quelli che più di tutti hanno influenzato le mie scelte e che continuano ad essere ancora oggi un sicuro punto di riferimento. Primo fra tutti Karajan, a seguire Carlos Kleiber, Carlo Maria Giulini, Claudio Abbado e altri ancora…».
E i compositori preferiti?
«Quando ero all’inizio dei miei studi musicali, mi capitò di vedere in TV un bellissimo documentario biografico su Arthur Rubinstein, “L’amour de la vie”, nel quale il suo intervistatore, ponendogli la stessa domanda, si sentì rispondere queste parole: “potrei immaginare la scomparsa di un’intera isola dalla faccia della terra, senza che ne abbia a soffrire… viceversa, non potrei più vivere senza Beethoven…».
Un percorso professionale il suo che l’ha portata in luoghi prestigiosi. Penso all’Auditorium Parco della Musica di Roma, dove ha diretto una delle Orchestre più importanti del Regno Unito: la Philharmonia Orchestra di Londra, in un memorabile concerto che lo ha visto protagonista insieme al violinista Vadim Repin. Poi ancora un grande impegno con la Czech Philarmonic Orchestra e il Coro Filarmonico di Praga. Fin qui qual è il “suo” concerto indimenticabile?
«Ho diretto diverse Orchestre sia in Italia che all’estero, ma devo ammettere che lavorare con la Philharmonia Orchestra di Londra, per giunta con un programma estremamente impegnativo, ha cambiato profondamente il mio modo di rapportarmi con l’orchestra e con il pubblico, e questo ha certamente lasciato un segno indelebile nella mia memoria. Ma il concerto ideale è sempre quello che dirigerò domani».
Lei è anche il fondatore e direttore de L’Arco Magico Chamber Orchestra, con il quale ha già effettuato la registrazione di alcune tra le più importanti pagine della musica barocca, pensiamo per esempio allo Stabat Mater e ai due Salve Regina di Pergolesi, e ancora il Salve Regina di Porpora e Leo. In ultimo ha registrato, in prima mondiale video, l’integrale dei Dodici Concerti Grossi Op. 6 di Handel. Che rapporto ha con la musica barocca?
«Ho avuto la fortuna di cominciare il mio personale lavoro sulla direzione, con piccoli ensemble vocali con i quali ho eseguito molta musica di Gesualdo, Marenzio e Monteverdi. Questo iniziale percorso formativo lo consiglierei vivamente a tutti quei giovani che oggi si rivolgono alla direzione d’orchestra, poiché lo studio approfondito della musica rinascimentale cambia sostanzialmente il modo di pensare la musica dei secoli successivi. La musica barocca ha occupato da sempre un posto veramente speciale nella mia vita professionale, poiché attraverso essa posso trovare quell’intima soddisfazione che nessun’altra musica può darmi. Lo studio accurato della musica di Handel, Vivaldi, Bach, ecc. ha cambiato radicalmente il modo attraverso il quale interpreto oggi molte delle pagine di Mozart, Beethoven e Brahms».
E la collaborazione con Sky Classica HD?
«Il rapporto di collaborazione con Sky Classica HD è nato dall’incontro con Piero Maranghi (attuale presidente di Sky Classica), il quale era da tempo alla ricerca di un direttore d’orchestra che, oltre a saper dirigere, fosse in grado di spiegare al grande pubblico, il delicato e complesso lavoro che egli svolge con l’orchestra durante le prove che precedono un concerto. Inoltre, dal 2014, curo la regia delle mie produzioni audio-video, con lo scopo di tradurre la partitura orchestrale in un flusso continuo e coerente di immagini che tengano conto della concertazione che il direttore stesso propone, usando lo spartito come un vero e proprio storyboard, facendo suonare letteralmente le immagini. Il prossimo ambizioso progetto, cioè quello del 19 aprile, è in collaborazione con Sky Classica HD e mi vede impegnato nella doppia veste di direttore e regista per la realizzazione di due distinti video dedicati rispettivamente alle Sinfonie Quinta e Settima di Beethoven, preceduti ognuna da una mia intervista documentale e che sarà in onda a partire da giugno».
Lei è nato a Catanzaro ma ha vissuto a Botricello dove ancora abitano i suoi genitori. Qual è la Calabria che Puccio porta nel cuore?
«Dall’età di sedici anni circa vivo stabilmente a Roma. Della Calabria porto dentro gli affetti più profondi che sono rappresentati dalla mia famiglia, dai pochissimi amici e dall’amore per il mare…». Se non avesse fatto il direttore d’orchestra? «Mi sarei dedicato alla scrittura e alla regia: due grandi passioni che coltivo dopo tante ore passate sulle partiture».
E se dovesse scegliere la partitura della sua vita?
«Sicuramente il Don Giovanni di Mozart: vi ho sempre trovato dentro tutto quello di cui ho avuto bisogno in qualunque momento della vita…».
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