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La corte di Cassazione

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ROMA – Un’altra sentenza che certamente finirà con il fare discutere e molto quella pronunciata dalla Cassazione nei confronti di un giovane di Catanzaro accusato di molestie dalla sua ex fidanzata.

Il nodo della vicenda è nel chiedersi fin quando è lecito insistere per riallacciare un rapporto, o, nel caso di specie, “quanti messaggi si possono inviare al proprio ex partner, senza essere molesti e incorrere in un reato”.

La Cassazione, mettendo la parola fine sulla vicenda giudiziaria di un giovane di Catanzaro denunciato dalla ex per l’invio di plurimi messaggi, ha chiarito che se l’altro non stoppa la comunicazione, attivando il blocco sul proprio telefono, è difficile capire quando il troppo è troppo, e questo può evitare una condanna.

Il giovane di Catanzaro, quindi, è stato assolto dalla Cassazione dall’accusa di molestie «perché il fatto non costituisce reato».

Secondo quanto ricostruito dalla stessa sentenza dopo la fine della storia con la ex l’uomo non aveva interrotto la comunicazione, come chiesto invece dalla donna e ogni tanto si rifaceva vivo con sms per un totale di 15 in due mesi e mezzo, un paio anche dal contenuto offensivo.

Nelle prime fasi del procedimento giudiziatio era stato condannato a una multa per il reato di «molestia o disturbo alle persone», previsto dall’articolo 660 del codice penale, la multa è stata impugnata dall’uomo in Cassazione che gli ha dato ragione. 

Secondo la difesa dell’uomo che ha presentato ricorso in Cassazione, nel suo comportamento non vi era alcun motivo «biasimevole», come prescrive la legge, semmai lo sforzo di riconciliazione lo aveva portato ad agire in modo «ingenuo e maldestro».

Il numero dei messaggi, poi, non era tale da poterlo considerare molesto e petulante: il ragazzo, è la scusante al suo agire, fa parte di una generazione che ha mutato il modo di intendere «la misura delle comunicazioni» e con quel comportamento non poteva «turbare o ledere la sfera della persona offesa». Una spiegazione che ha convinto anche i giudici.

La Cassazione, nella sentenza, ricorda che il reato di molestie contempla una condotta che non solo interferisca con la quiete altrui, ma che si caratterizzi per «petulanza o altro biasimevole motivo»: significa che va punito il comportamento «intollerabile e incivile verso la persona molestata» e «il modo di agire arrogante o vessatorio, privo di riguardo per la libertà o la quiete altrui», è richiesta inoltre la volontarietà della condotta.

Nel caso di questa coppia scoppiat invece la suprema Corte non ravvisa il dolo.

«Assume certamente rilievo – secondo i giudici – il fatto oggettivo evidenziato dalla difesa dell’imputato che sul telefono della persona offesa non sia stato attivato il blocco». E il tribunale non ha riscontrato «il dolo di petulanza dei messaggi, ma solo i tratti della possibile molestia degli stessi»: la storia era finita per decisione unilaterale di lei e i 15 messaggi «esprimevano essenzialmente amarezza provocata dalla interruzione del rapporto, gelosia e volontà di incontrare di nuovo l’ex fidanzata per riallacciare la relazione». Ma dalle motivazioni della sentenza non vi è modo di ravvisare «il tipico atteggiamento psicologico inerente alla petulanza del comportamento» nei confronti dell’altro «fino al punto di determinarlo ad invocare aiuto».

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