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UNA volta tanto capita anche di essere invidiosi. Non è bello, d’accordo. Ma come si fa? Lui in sei ore vola negli Stati Uniti, abbraccia le tenniste dei miracoli, si fa centinaia di selfie, poi torna sazio e soddisfatto. Il viaggio lampo è finito quando in Italia ci sono ancora quelli con la bocca aperta che lo sommergono di improperi. Come non guardarlo con gli occhi della stizza? Va bene è il capo, ma anche gli altri avrebbero diritto a qualcosa di meglio.
Chi viaggia sui treni da e per la Calabria conosce questa sensazione. Una frustrazione amara, da cittadini di terza classe, condannati alle peripezie dall’insipienza di certi capoccioni che studiano orari e coincidenze senza azionare il cervello. Sei ore Roma-New York, sette ore Napoli-Cosenza. La prima ferrovia l’abbiamo inventata noi ma poi ci siamo appisolati in sala d’aspetto. La questione è semplice semplice: che senso ha avere Frecciabianca e Frecciarossa superveloci se poi per una coincidenza tra Paola e Cosenza bisogna attendere tre ore in una stazione che ricorda Piovarolo?
Giovedì 17 settembre, l’Intercity 727 da Napoli per la Sicilia arriva puntuale al binario 15. Non ci si crede. Un attimo prima l’altoparlante ha annunciato un ritardo di 80 minuti per un Frecciarossa diretto a Salerno rimasto in panne. Capita. Un po’ troppo spesso, è vero, ma la perfezione lo sappiamo ha perso da tempo l’ultimo treno.
Il nostro bel convoglio è invece qui, abbastanza pulito, non affollato. La cartolina è in linea con l’immutabile tradizione partenopea: c’è il venditore abusivo di bibite e panini (quello che dovremmo segnalare alla polizia ferroviaria), figura ereditata dagli anni Cinquanta ma senza più l’aria di Napoli in scatola. Ci sono gli ambulanti con calzini per uomo. Sono una folla, al punto da far sorgere più di un dubbio: ma i meridionali negli ultimi anni si sono trasformati in millepiedi?
Il nostro Intercity invece è caduto in letargo. I minuti passano. Mezz’ora di ritardo. L’illusione della puntualità è svanita. Il sito di Trenitalia minimizza in maniera sospetta: per loro i minuti sono solo sei. Ma non è così. Chissà che orologi usano. Ora si parte, ma intanto il pensiero vola a Paola: la coincidenza delle 16,29 per Cosenza avrà la bontà di aspettarci?
L’Intercity corre, a Sapri il ritardo è sceso a 20 minuti. Basterebbe recuperarne altri 11 per non perdere il prezioso aggancio. Forse qualcuno avviserà, chiederà qualche minuto di attesa per non farci restare a piedi. Penseranno anche alle esigenze dei viaggiatori. Illusione amara. Al controllore di servizio poniamo il problema. La risposta è sbalorditiva: «Non mi interessa nulla, quello che dite non l’ascolto nemmeno, fra due anni vado in pensione». Dialogo che avviene sulla carrozza 4 a pochi minuti da Paola. Bene, dopo la puntualità anche le buone maniere hanno perso il treno. Come noi: dalle 16,29 fino alle 17,31 non ci sono corse. Cosenza, Rende, una grande e vitale area urbana sono isolate. Possibile? Sì, è così tutti i giorni. Basta saltare una coincidenza e si resta bloccati in una stazione senza un bar e senza servizi. Con lavori di restauro che ricordano i tempi di altre famigerate opere del vecchio Sud. Un cartello indica l’esistenza di un centro di accoglienza per i viaggiatori. Lo sportello coincide con la classica biglietteria, ma non è aperto in modo continuo. Ogni tanto abbassa la saracinesca. Non possiamo nemmeno sfogarci un po’.
Beh, due ore passeranno. Ma non sono due ore. Magari. Il treno che dovrebbe portarci a Cosenza è annunciato con 35 minuti di ritardo. Lo danno sul binario quattro. Pazienza, che altro fare?
La voce dell’altoparlante è irritante: ogni istante annuncia un Frecciabianca o qualche altro convoglio attardato. Un intercity notte per Roma viaggia già con 80 minuti di ritardo e non è ancora a un terzo del cammino. Quella frase «ci scusiamo per il disagio» diventa fastidiosa, una cortesia ipocrita. Quante volte le Ferrovie chiedono scusa in un giorno? Tante, troppe.
In realtà siamo tutti sbattuti qui su questo marciapiede senza sapere cosa fare. Stanchi e di pessimo umore. La voce metallica ci ricorda che dobbiamo allontanarci dalla linea gialla. Ma quale linea, vorremmo essere lontani da qui. È l’unico desiderio che accomuna questa folla rassegnata. Invece. Le imprecazioni si sprecano: una coppia di anziani passeggeri deve timbrare il biglietto. Su è giù per le scale, con grande fatica, perché le macchinette non ci sono sui binari o nel sottopassaggio. Bisogna andare nell’atrio della stazione per vidimare il tagliando. Ne esiste solo una. Ma qualche altra macchinetta non sarebbe utile per evitare queste sfacchinate aggrappati alle valigie? Paola è uno snodo importante. «Segnalatelo», dice una capotreno con un sorriso che non fa presagire niente di buono.
Il treno per Cosenza aumenta il ritardo. I minuti sono 40. Non solo, si cambia binario: dal quarto al primo. Via giù per le scalinate appese, trascinando bagagli e brutti pensieri. E quando ci capitano i disabili?
Eccolo arriva, sono le 19,15. Siamo rimasti in attesa dalle 16,40. Cosenza non è più un sogno. È a solo 22 minuti. La distanza giusta per allestire un servizio navetta frequente. Ma sarebbe una cosa per cittadini di serie A. Nel frattempo il pensiero va a chi in due ore scorazza da una parte all’altra dell’Europa. Come non essere invidiosi? Questa dei collegamenti è una rogna che devono affrontare Regione, Comuni, Province e Trenitalia. Il Governo c’entra solo in parte. Ma i politicucci calabresi che ne sanno, c’è sempre qualche galoppino pronto a scarrozzarli da Paola e Cosenza e viceversa. Adesso inizia un nuovo supplizio: i pullman che da Vaglio Lise vanno in centro. Ma questo è un altro impiccio, che merita un discorso a parte. E pensare che Renzi aveva battezzato il 2015 come l’anno del ritmo. Forse si riferiva alle discoteche.

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