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NELL’ESTATE del cinquantanove, mentre Pasolini percorreva la costa italiana per realizzare “la lunga strada di sabbia”, muovevo i miei primi passi in autonomia. Troppa per mia madre. In relazione alla circostanza di essere un bambino che, a circa diciotto mesi di età, veniva intercettato dalla dirimpettaia a mezzo chilometro da casa, lungo l’unica via della marina di Longobardi, un paese della costa tirrenica molto vicino alla Paola del dottor Nicolini. Sarà stata «la speranza pura, quella un po’ anarchica e infantile» di cui parla il poeta in un successivo scritto sulla Calabria del sessantaquattro, o piuttosto la vocazione a provare a fare da se senza dipendere in tutto e per tutto dagli altri, fosse anche la propria madre, ma tant’è. In maniera semplice mi stavo dirigendo verso l’unico negozio di generi alimentari presente (a putiga) il cui titolare, don Bonaventura, per affetto e simpatia era uso regalarmi una caramella tutte le volte che accompagnavo mamma a fare la spesa. La vicina, infatti, mi ha trovato mentre biascicavo qualcosa che sembrava vicino ad “un chilo di pasta” evidentemente la mia associazione di idee al dono della caramella. La lettura del “carteggio” pubblicato domenica sul Quotidiano della Calabria, pur se fatta con la mente ed il cuore di oggi e gli occhi a scrutare cosa ci potrà riservare il futuro prossimo fatto di “spread e di spendig rewieu” o quello di medio periodo incerto, controverso e costellato in pari misura di rischi ed opportunità, ha ridestato nella mia memoria questo piccolo avvenimento. Gli adulti fanno “come gli struzzi” e mettono la testa dentro la sabbia per non vedere, evitando così di affrontare una realtà che trovano scomoda, più grande di loro, troppo impegnativa, difficile. Per la stessa ragione i bambini si rifugiano tra il grembo e “la gonnella di mammà”, protettiva e securizzante, ma sono bambini. Non ho provato alcuna indignazione per lo scritto di Pasolini, coerente con lo stile tagliente e senza mezze misure del personaggio così come avevo avuto modo di conoscerlo studiando e leggendo qualcuno dei suoi scritti. Una sincera ammirazione, invece, per il dottor Pasquale Nicolini che non mette “la testa sotto la sabbia” rifugiandosi nell’indignazione di maniera e nelle manifestazioni fatte di difesa di “reputazione, onore, decoro, dignità” ma a schiena dritta ed a testa alta usa l’arma colta ed efficace della scrittura: asciutta, realistica, sfidante al punto da saper accettare e cogliere i rilievi del poeta fino all’invito diretto per una conoscenza dei luoghi più vera e profonda. Un comportamento non usuale neppure ai tempi nostri, segnati dai ritmi e dai rituali dalla comunicazione, che acquista, quindi, maggiore valenza nel contesto di quel tempo. E’ l’atteggiamento di chi sa reagire avendo la positiva consapevolezza del proprio operare quotidiano,  di chi non ha paura del confronto, anche se aspro e posto su una base di partenza appena superficiale, perché è pronto e sicuro di poter rispondere con i fatti “della mia Paola panoramica e mistica”. Una bella lezione per tutti. Attuale quanto mai. Nella stessa misura è vera ed attuale la percezione che Pasolini ha dei tanti contrasti e paradossi di cui è caratterizzata la Calabria «in cui a dolci pendii si contrappongono violenti sbalzi rocciosi». Vale per la natura e per tutto il resto. Basti pensare all’attuale stato di crisi, lungo e perdurante per i noti fattori esterni ed internazionali, aggravato localmente dalle tante pigrizie, le molte inadeguatezze ed un senso di deresponsabilizzazione nell’azione quotidiana a vari livelli di responsabilità istituzionale e sociale. Mi piace molto e trovo particolarmente stimolante quello che Pasolini scrive nel suo ripensare la nostra terra: “In Calabria è stato commesso il più grave dei delitti, di cui non risponderà mai nessuno: è stata uccisa la speranza pura, quella un po’ anarchica e infantile, di chi vivendo prima della storia, ha ancora tutta la storia davanti a sé”. Con gli occhiali di questo tempo, un invito ad assumere consapevolezza che occorre una reazione pronta ed efficace, condivisa e responsabile, adeguata alla portata e alla gravità storica del momento e delle questioni sociali aperte: un momento di discontinuità, una nuova stagione di protagonismo locale, di valorizzazione e crescita di nuove classi dirigenti e di coinvolgimento attivo della società civile disponibile al cambiamento.

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