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«CHI vuole diminuire le tasse sa che è necessario rivedere enti e società, compresa la Rai, dove la logica della trasparenza, del merito, dell’indipendenza dalla politica non è garantita… La Rai è un esempio eclatante di enti e società che vanno rivisti». Mario Monti è stato chiarissimo, durissimo, quasi liquidatorio dell’operato dei vertici di viale Mazzini, in primis del direttore generale Lorenza Lei, da cui dipendono per statuto tutte le scelte e gli indirizzi editoriali. In sintesi, l’azienda non funziona e l’indipendenza dalla politica non esiste. Da utente che da sempre paga regolarmente il canone – anzi due per motivi di residenza – sottoscrivo in toto le parole dette lunedì dal presidente del Consiglio e mi aspetto che le decisioni che adotterà non solo servano a mandare a casa i responsabili dello sfascio, ma anche e soprattutto a scegliere finalmente uomini di valore, competenti, indipendenti, trasparenti e liberi.
Prateria delle scorribande dei politici, nel momento stesso in cui i partiti si sono consumati nelle loro miserie, anche l’ingerenza è diventata asfissiante, logorante, dequalificante. Per favorire le attività del concorrente privato – ma non solo – occorreva smontare pezzo per pezzo quella che era e potrebbe essere ancora la più grande industria culturale del Paese, indebolirla, ammansirla, addomesticarla. Così è stato e in tanti ci siamo rifugiati nel provvidenziale zapping che ci ha allontanati dalla pestifera aria di telegiornali e programmi sempre più faziosi e scarsamente professionali. Politici di terza e quarta fila della Prima Repubblica e qualcuno della Seconda (al peggio non c’è mai limite) hanno dettato legge nella scelta di uomini e programmi ricevendone in cambio comparsate in studi e salotti governati da persone che loro stessi avevano messo in quei posti. Dall’editto bulgaro, che punì un professionista del valore di Enzo Biagi, la strada è stata tutta in discesa, lungo un percorso sempre più scivoloso e fangoso.
Fa benissimo, Monti, a mandare a casa la signora Lei, ultima responsabile – come lui stesso dice – del disastro Rai. E lo diciamo anche per una piccola ma significativa esperienza diretta che, all’insaputa della vittima – con noi – dell’ostracismo dei dirigenti dell’ente radiotelevisivo, vogliamo raccontare a voi e al capo del governo.
Qualcuno di voi ricorderà che fino a circa un paio di anni fa una delle firme più apprezzate del nostro giornale era quella di Annarosa Macrì. Professionista di valore, persona di cultura raffinata, non a caso scelta da Biagi per le sue indimenticabili trasmissioni – vere e proprie lezioni di giornalismo –, lei ha anche il dono di una straordinaria scrittura, limpida nella costruzione, densa nei contenuti e coinvolgente nel coraggio. Troppo brava e libera per essere tollerata in un mondo di nani e ballerine.
Ebbene, poco dopo un cambio al vertice dell’informazione televisiva regionale, per caso coincidente con un cambio di quadro politico in Calabria, quattordici mesi fa fu avviato un provvedimento disciplinare che obbligò Annarosa Macrì a sospendere la sua collaborazione con il Quotidiano, che non interferiva affatto con la sua attività alla Rai tanto è vero che dopo qualche mese detto provvedimento fu archiviato. Dieci mesi fa lei chiese l’autorizzazione alla direzione della Rai a poter riprendere la collaborazione con il nostro giornale. Due giorni fa le è arrivata una lapidaria comunicazione: «Il Direttore Generale, con lettera riservata indirizzata al Direttore di Testata e ricevuta questo pomeriggio, ha riscontrato negativamente la richiesta di autorizzazione alla collaborazione con il “Quotidiano della Calabria”». Nessuna motivazione, un no secco, contrattualmente ineccepibile. Infatti, il contratto di lavoro giornalistico (articolo 8) lascia piena libertà al direttore, d’accordo con l’editore, di non rilasciare autorizzazioni a collaborazioni quando l’assunzione preveda la prestazione d’opera esclusiva. Naturalmente è raro che l’autorizzazione sia negata: dalle parti del mio giornale attualmente non è negata a nessuno. E lo diciamo non tanto per autoreferenziarci, quanto soprattutto per sottolineare che in un’azienda privata è più facile trovare motivi oggettivi che possono consigliare il diniego dell’autorizzazione al contrario di una grande azienda pubblica dal carattere ecumenico come la Rai.
Dicevo che racconto questa vicenda all’insaputa della persona interessata, interrompendo un doloroso silenzio durato due anni. Le sto sicuramente facendo violenza – e le chiedo scusa – ma sono convinto che quanto accaduto non sia un fatto privato bensì meriti di essere reso pubblico non tanto per dire come vanno le cose in questa regione e in questo paese quanto soprattutto per sollecitare anche da questa periferia le decisioni che lo stesso Monti ha annunciato come fondamentali e non più rinviabili.
Annarosa si chiede e mi chiede: «Che avrà di così disdicevole il tuo giornale che un giornalista Rai non ci può scrivere? O che avrò di così pericoloso io che non posso scrivere sul tuo giornale?». Me lo chiedo anch’io e ho pure la risposta. I lettori, che sono persone intelligenti, la conoscono senza che io gliela debba ricordare.
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