Mario Oliverio
2 minuti per la letturaCATANZARO – La Corte di Cassazione ha revocato l’obbligo di dimora nel comune di residenza cui era sottoposto dal 17 dicembre scorso il presidente della Regione Calabria Mario Oliverio.
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Il provvedimento era stato emesso dal gip su richiesta della Procura di Catanzaro per abuso d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta “Lande desolate” per presunte irregolarità in due appalti gestiti dalla Regione per la realizzazione della sciovia di Lorica e dell’aviosuperficie di Scalea.
Lo stesso Oliverio ha commentato, nella notte, la notizia attraverso i propri profili social: «E’ finito un lungo e freddo inverno. E’ arrivata la primavera. Verità e onestà non si calpestano».
L’operazione, portata a termine grazie alle indagini della guardia di finanza (LEGGI I PARTICOLARI), aveva evidenziato in pieno gli equilibri sottili tra ‘ndrangheta, politica e pubblica amministrazione, da sempre attenzionati dal procuratore Nicola Gratteri. Nell’ordinanza che aveva portato all’obbligo di dimora il presidente della Regione Mario Oliverio, c’era praticamente tutto: appalti pubblici, ‘ndrangheta, aiuti politici, favori, giro vorticoso di denaro.
Una ricostruzione talmente grave e complessa che, per Oliverio, la Procura aveva chiesto gli arresti domiciliari, misura non accolta dal Gip. Nei giorni successivi all’emissione del provvedimento di obbligo di dimora a San Giovanni in Fiore, il comune del cosentino in cui è residente, nei confronti del governatore calabrese, la Procura catanzarese aveva emesso un avviso di garanzia per corruzione. Adesso, la Cassazione ha accolto il ricorso presentato dai legali di Oliverio, gli avvocati Armando Veneto e Vincenzo Belvedere.
«Ogni tanto si incontra un magistrato giusto» è stato il commento di Veneto. Belvedere, dal canto suo, ha sottolineato come la decisione sia giunta «su conforme parere del Pg, che è ancora più importante, che ha definito abnorme il provvedimento. Le tesi che portavamo avanti sin dall’inizio, sin dal tribunale della libertà – ha aggiunto il legale – sono state finalmente accolte dalla Cassazione e, a maggior ragione, dalla Procura generale. Quello che rimane di questa vicenda è che il tribunale della libertà, probabilmente per la presenza di ben tre procuratori di Catanzaro che sostenevano l’accusa, fosse stato male impressionato da questo schieramento di forze che non era dovuto per un abuso d’ufficio. La Cassazione che giudica lontana dai fatti e dai condizionamenti, ha giudicato per quello che è il fatto, un fatto che non meritava sicuramente di arrivare a queste conseguenze».
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