L'incendio dei negozi di villaggio Palumbo
2 minuti per la letturaCOTRONEI (CROTONE) – Non ce l’ha fatta. Intubato al Centro grandi ustioni di Catania, dove è stato portato in gravi condizioni il 7 marzo scorso, Vincenzo Teti, il 55enne commerciante di Cotronei arrestato per l’incendio alle “cupole” del villaggio turistico Palumbo (LEGGI LA NOTIZIA), è spirato ieri.
Le bruciature procuratesi mentre appiccava il rogo erano sul 50 per cento del corpo. L’uomo era semicosciente quando i carabinieri l’hanno beccato a casa sua, a poche ore dal fattaccio.
Nella località Trepidò, la notte dello scorso 6 marzo, sono andati distrutti il ristorante “Brigantino”, una galleria d’arte, un negozio di bigiotteria e uno di abiti. Il gip del Tribunale di Crotone Michele Ciociola, pur convalidando l’arresto eseguito dai carabinieri, non aveva applicato alcuna misura nonostante il pm Giampiero Golluccio chiedesse la custodia in carcere.
Era stata, invece, accolta la richiesta del difensore, l’avvocato Tiziano Saporito. Proprio a causa delle gravi condizioni di salute non ha mai avuto luogo l’interrogatorio di garanzia. I militari hanno rinvenuto la tanica di benzina con cui è stato appiccato il fuoco e seguendo le tracce ematiche sul suolo, ipotizzando che l’autore del rogo potesse essere rimasto ferito nell’esplosione, sono arrivati a casa di Teti: quando sono entrati per una perquisizione hanno notato l’uomo con ustioni su tutto il corpo e hanno contattato il servizio 118 per le necessarie cure.
Le tracce di sangue erano anche sull’uscio di casa dell’indagato e nella sua auto, pertanto il giudice ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza. Ma, non essendo in grado di comunicare né di firmare il verbale, a Teti non è stata applicata la misura cautelare. Da rilevare che l’uomo è stato sottoposto a cure mediche soltanto dopo l’intervento dei carabinieri del Nucleo operativo e radiomobile della Compagnia di Petilia Policastro.
Non aveva contattato il 118 con ogni probabilità per non destare sospetti in seguito all’incendio nella nota struttura turistica, che ha suscitato clamore. Già coinvolto nell’inchiesta che nel maggio 2014 portò all’operazione antimafia denominata Tabula rasa, ma uscitone con un’assoluzione confermata in Appello nel dicembre 2017, Teti era ritenuto un uomo del clan capeggiato da Vincenzo Manfreda, il reggente della cosca – il cui capo storico è considerato Vincenzo Comberiati, boss di Petilia Policastro – almeno fino alla sua uccisione, avvenuta nel marzo 2012 nel maneggio realizzato con la legna estorta alle segherie del luogo.
In quel procedimento era considerato il tramite attraverso cui il clan intratteneva rapporti con gli imprenditori vittime. L’inchiesta fotografava uno scenario forse ancora attuale. Una delle principali fonti di reddito illecite per la cosca era il villaggio Palumbo, all’interno del quale troviamo piste sciistiche attrezzate, strutture ricettive, ristoranti, attività commerciali, ricreative, impianti sportivi, multiproprietà, villette. Del resto Teti, nei cui confronti sono cadute ipotesi di associazione mafiosa e estorsione, era accusato di aver costretto gli amministratori della Girtas srl, che gestisce il villaggio, a cedere con cadenze periodiche al clan somme di denaro non meglio specificate.
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