L'ingresso della clinica Luccioni a Potenza
3 minuti per la letturaL’Asp chiude le verifiche sui rimborsi alla clinica (che però batte cassa con un decreto ingiuntivo): scoperte anomalie su oltre 3.800 casi esaminati su 6.500, in attesa che decidano i giudici
POTENZA – E’ salito a oltre 9 milioni e mezzo di euro il conto delle cartelle cliniche gonfiate che l’Azienda sanitaria di Potenza addebita all’ex Luccioni (attualmente Casa di Cura Clinica Luccioni spa).
Nei giorni scorsi il commissario facente funzioni Massimo De Fino ha preso atto dell’esito delle verifiche avviate a dicembre del 2016 su un migliaio di interventi su anca e femore effettuati tra il 2014 e il 2016, ed estese in un secondo momento anche a «interventi quali l’alluce valgo, la protesi di ginocchio, la protesi di spalla, l’ernia del disco».
Il risultato è stato che al milione e mezzo chiesto indietro all’azienda a settembre del 2017 andranno sommati altri 7.787.493 euro, per un totale di quasi 9 milioni e mezzo.
La questione è già approdata da gennaio in Tribunale, ma a portarcela è stata l’ex Luccioni che ha ribattuto colpo su colpo, ottenendo un decreto ingiuntivo per 6milioni, a cui l’Asp ha risposto chiedendo il milione e mezzo già accertato o «diversa cifra che verrà accertata in corso di causa quale somma indebitamente corrisposta».
L’Asp evidenzia anomalie su oltre 3.800 cartelle cliniche in totale delle 6.591 esaminate (nella verifica precedente quelle non appropriate erano 873 su 1.030)
Inoltre critica il fatto che l’azienda «dapprima si è sottratta ad un confronto in contraddittorio sulle singole cartelle, più volte richiesto, trincerandosi dietro un’asserita tardività della richiesta», quindi «in sede di controdeduzioni» si sarebbe negata anche «a un confronto sulle singole cartelle contestate ovvero, come nei casi evidenziati», e «sulla corretta codifica di alcuni interventi quali l’alluce valgo, la protesi di ginocchio, la protesi di spalla, l’ernia del disco, che erroneamente codificati dalla struttura hanno determinato un maggior fatturato, interamente contestato, per circa 4 milioni di euro».
«Non può tacersi che le controdeduzioni a campione – aggiunge l’Asp – nella maggior parte dei casi sono generiche (…) e non riportano a sostegno della codifica utilizzata e contestata, alcun riferimento scientifico o normativo».
Nella delibera del commissario facente funzioni si fa anche riferimento alla sentenza del Consiglio di Stato che ha approvato la sospensione della convenzione con la struttura disposta dall’Asp dicembre 2016 sulla base di una serie di irregolarità, poi confluite nell’inchiesta dei pm potentini sui vertici della struttura. Ma evidenzia anche la scadenza della convenzione, a luglio del 2017, e la decisione con cui il 31 luglio la governatrice facente funzioni, Fravia Franconi, ha dichiarato «la decadenza dall’autorizzazione all’esercizio dell’attività sanitaria di chirurgia generale e di ortopedia e traumatologia rilasciata alla Casa di Cura Clinica Luccioni spasita (…) disponendo per l’effetto la conseguente chiusura della struttura relativamente alle attività di ricovero ospedaliero».
IL PROCESSO: IN NOVE DAVANTI AL GUP
È iniziata il 2 luglio l’udienza preliminare per i nove imputati nell’ambito dell’inchiesta sulle cartelle gonfiate all’ex Clinica Luccioni di Potenza. Si tratta dell’ex amministratore, Walter Di Marzo, degli ex direttori sanitario e amministrativo, Lorenzo Tartaglione e Giuseppe Rastelli, dei chirurghi Mario Muliere e Gennaro Straziuso, entrambi potentini, più il salernitano Paolo Sorbo e il barese Paolo Dell’Aera, di un dirigente medico dell’Azienda sanitaria provinciale del capoluogo, Archimede Leccese, e del fornitore di kit medici Antonello Melillo di Moliterno.
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