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L’inchiesta della Dda di Salerno sui permessi ai migranti, nata dalla denuncia che la premier presentò a giugno


«Stavolta la magistratura è amica» scherzava, ma neppure troppo, ieri – martedì 4 febbraio 2025 – alla Camera un deputato di Fratelli d’Italia. Alludeva al tempismo perfetto del coinvolgimento del tesoriere del Pd campano Nicola Salvati nell’inchiesta della Dda Campania sulla truffa sui permessi per i migranti: circa duemila gli extracomunitari che avrebbero ottenuto la documentazione per soggiornare in Italia a fronte del pagamento di cifre fino a 7.000 euro che ogni lavoratore pagava per ciascuna pratica.

FALSI PERMESSI AI MIGRANTI


Secondo l’accusa, la cabina di regia dei falsi sarebbe stata nello studio dei commercialisti Salvati. Un’inchiesta nata dalla denuncia che la stessa premier Meloni aveva presentato alla Dda il 4 giugno scorso. Esposto-denuncia che ha camminato spedito in pochi mesi fino alla svolta di ieri. Per cui Meloni, dopo due settimane di silenzio sul fronte migranti, silenzio assoluto sul flop Albania e sullo scandalo Almasri, ieri mattina ha ritrovato voce e voglia in un post che può attaccare frontalmente il Pd e le opposizioni.

GLI SCAMBI DI ACCUSE


«L’inchiesta della Dda di Salerno, che ha portato a 36 indagati e svelato oltre 2mila richieste false di permessi di soggiorno – scrive la premier – conferma ancora una volta quanto denunciato dal Governo: per anni, la gestione dei flussi migratori è stata terreno fertile per criminali senza scrupoli. Un sistema che speculava sull’immigrazione, sfruttando cittadini stranieri disposti a pagare pur di ottenere un permesso di soggiorno e alimentando un giro d’affari illecito da milioni di euro».
Manna dal cielo alla vigilia dell’informativa attesa da una settimana sul caso Almasri e a cui finalmente stamani daranno voce i ministri dell’Interno Piantedosi e della Giustizia Nordio. Ma non la stessa premier, nonostante le richieste delle opposizioni unite.

MIGRANTI, INCHIESTA: «UNA MANNA DAL CIELO»


«Quest’inchiesta è manna dal cielo perché – teorizza un deputato di maggioranza – ministri e maggioranza potranno zittire la parte sinistra dell’emiciclo dimostrando che lei combatte il traffico degli esseri umani in tutto il globo terracqueo». Parte sinistra che invece, in modo strumentale, sarà coinvolta in un blocco unico con il tesoriere Salvati.
Deliri populisti che certo non aiutano la comprensione dei fenomeni. La maggioranza è convinta che il coinvolgimento del tesoriere del Pd possa aiutare a ribaltare la narrazione sul caso Almasri dimostrando che il governo Meloni fa sul serio nella lotta al traffico di essere umani. Ma è indubbio che l’inchiesta che coinvolge Salvati – e che poi vedremo come andrà a finire – non possa essere in alcun modo messa sullo stesso piano del caso del capo della polizia penitenziaria libica, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità.

PD, «IL CAMBIO DI FIGURINE SALVATI-ALMASRI NON REGGE»


I deputati del Pd lo sanno bene: «Non ci provi Meloni: il cambio di figurine Salvati-Almasri non può reggere». E però questo sarà il ritornello di oggi, mercoledì 5 febbraio, in aula, prima alla Camera e, a seguire, al Senato. Bastava leggere i comunicati fotocopia che gli uffici stampa della maggioranza ieri hanno distribuito in giro. Brilla la fedelissima Montaruli: «Quelli coinvolti sono dirigenti del Pd, quelli che cercano in ogni modo di minare il lavoro del governo Meloni. A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca: ostacolano per meri fini personali?».

Non è da meno un altro fedelissimo, il senatore Speranzon: «Cosa dice il Pd sull’inchiesta di Salerno? Non perde occasione per mostrarsi più dalla parte dei trafficanti che da quella dei migranti». Affermazione che lascia perplessi se ci si ferma un attimo a riflettere che il governo di destra, nello specifico la leader di Speranzon, un paio di settimane fa ha rimandato a casa sul volo di Stato un uomo accusato, e non indagato, per torture, stupri e omicidi.

IL NODO “SEGRETO DI STATO”


Le regole d’ingaggio dell’informativa non aiuteranno a comprendere né a risolvere. Oggi parleranno i ministri, prima Nordio e poi Piantedosi (in ordine alfabetico), i gruppi parlamentari avranno a disposizione 10 minuti (ampliati rispetto ai canonici sette) a partire dal più grande (FdI) fino al più piccolo. Non ci saranno repliche né votazioni. La sensazione è che saranno fatti pochi passi avanti rispetto a una verità non bella ma nota a tutti: la necessità di avere rapporti con il “governo” libico così come con quello tunisino, necessità che andava coperta fin dall’inizio con il segreto di Stato per chiudere il dossier il prima possibile, senza strascichi inutili e quindi dannosi.
Scelta che per ora, nonostante le pressioni di una parte della maggioranza, è stata scartata da Giorgia Meloni. Ieri sera davanti al Copasir la questione è stata posta all’attenzione del sottosegretario Alfredo Mantovano.

È LA PREMIER CHE DECIDE

Ma è la premier che decide. E il segreto di Stato è al tempo stesso l’ammissione di un pasticcio senza soluzione e la fine della narrazione che finora ha puntato il dito contro i complotti della magistratura, italiana e internazionale.


Dunque, almeno per ora, non se ne parla. E le opposizioni insisteranno su due punti: Almasri è una figura protetta dal governo italiano, addosso gli hanno persino trovato la chiave elettronica che gli dava la disponibilità di una stanza in un importante albergo di Milano. Non doveva essere arrestato, ma nel momento in cui accade, è chiaro che il nostro governo non può più avere come interlocutore un boia.


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