Giorgia Meloni
4 minuti per la letturaCaso Almasri, spunta l’ipotesi di ricorrere alla “sicurezza nazionale” e al segreto di Stato mentre Meloni ribadisce: «Andrò Avanti»
È muro contro muro tra governo e opposizioni sul caso Almasri. In Parlamento si bloccano i lavori d’aula per protestare per la mancata e tanto attesa informativa sul dossier da parte dei ministri Piantedosi e Nordio. “Non è una fuga” precisa a tarda mattinata il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, “dobbiamo però svolgere una riflessione” alla luce del possibile avvio di un’indagine sulla premier, sul sottosegretario Mantovano e sui ministri dell’Interno e della Giustizia che solo il Tribunale dei ministri potrà decidere (a 90 giorni di tempo a partire da martedì) se avviare o archiviare.
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Le ipotesi di reato sono favoreggiamento (per la fuga di un ricercato internazionale) e peculato visto che per far fuggire il generale Almasri è stato usato un Falcon dei servizi segreti. Se l’inchiesta dovesse andare avanti, il Tribunale dei ministri dovrà poi trasmettere il dossier alla Giunta per le autorizzazioni della Camera di elezione. “La notizia dell’avvio dell’indagine – ha continuato il ministro – ci obbliga a capire e valutare fino a che punto è possibile entrare nel merito della dinamica dei fatti”. Dunque, “sarà fornita un’indicazione il prima possibile”. La conferenza dei capigruppo di Camera e Senato è rinviata a martedì 3 e a quel punto sapremo qualcosa di più.
Da qui ad allora il governo ha una via d’uscita tanto facile quanto impegnativa: chiedere l’apposizione del segreto di Stato su tutta la faccenda. Lo avrebbe potuto fare subito, già il 22-23 gennaio quando è stato chiaro che il dossier Almasri era scappata di mano. Lo può fare in qualunque momento: è una decisione che spetta al Presidente del consiglio. La storia tornerebbe a quel punto dove sarebbe dovuta sempre restare: nella zona grigia tra diritto e pragmatismo dove spesso gli Stati si devono rifugiare per far quadrare la gestione di fatti complessi. Quale è senza dubbio, e non certo da oggi, quella che riguarda i rapporti con la Libia e il traffico dei migranti che per quel paese è fonte di reddito per molte tribù e presunti generali.
Giorgia Meloni ha passato la giornata in ufficio.
Tutta la mattina se n’è andata con un vertice sull’immigrazione – così le fonti di palazzo Chigi – che “non ha minimamente toccato il caso Almasri”. Sembra improbabile visti i ministri presenti: Tajani, Piantedosi e Salvini. E però è anche vero che la nave Cassiopea e i suoi 49 migranti portati nei centri in Albania è certamente un altro pensiero per l’esecutivo. Alle 13 il ministro Nordio si è seduto davanti al Copasir, anche questa audizione era già in calendario e aveva come tema gli accessi abusivi alle banche dati. “Il ministro non rilascerà dichiarazioni e non sarà neppure presente al convegno sulla privacy previsto in calendario” è filtrato da via Arenula.
Il solito bunker, insomma. Mentre le opposizioni portano alla Camera un’altra informativa al posto di quella dei ministri: le testimonianze durissime di tre ragazzi scampati alle carceri di Almasri. La stampa estera presente in massa.
Eppure sarebbe facilissimo per il governo uscire da questa situazione: far scattare il segreto di stato. L’opzione è sul tavolo anche se ormai a questo punto politicamente più imbarazzante. Alla sicurezza nazionale aveva già alluso il ministro Piantedosi la scorsa settimana. “Abbiamo espulso il generale dall’Italia per questioni di sicurezza nazionale” disse. Quali? Il rischio che il sistema libico rovesci sulle coste italiane migliaia e migliaia di migranti? Ancora peggio, rischio sequestro per i nostri tecnici Eni che lavorano là? Qualche ricatto energetico? Possono essere anche tutte queste cose insieme.
Di sicurezza nazionale ha parlato per la prima volta anche la premier ieri mattina con un post su Facebook: “Il nostro impegno per difendere l’Italia proseguirà, come sempre, con determinazione e senza esitazioni. Quando sono in gioco la sicurezza della Nazione e l’interesse degli italiani, non esiste spazio per passi indietro. Dritti per la nostra strada”. Poco dopo è arrivato il post della sorella Arianna: “Avanti sorella mia, sei il nostro orgoglio” dove la sorella Giorgia è ovviamente nel mirino dei “meschini che non vogliono cambiare il paese”.
La storia, come chiunque in buona fede ha capito, è invece una questione di inefficienza e di buchi nella catena della gestione della sicurezza. Non esiste un nemico, laico, di sinistra o togato che sia, che minaccia il governo. E’ il governo che ha sbagliato. Può capitare. Si prova a correggere. Tutto quello che è successo dopo, compreso l’avvio dell’indagine da parte del procuratore Lo Voi, è figlio di quell’errore iniziale. Invece si è voluto scaricare la colpa sui magistrati. E buttare benzina sullo scontro tra politica e magistratura. Si vuole cavalcare l’indagine. La senatrice Giulia Bongiorno è già stata nominato legale della premier. E dalle parti della destra si sussurra che la notifica dell’indagine tutto sommato ha evitato le audizioni dei ministri.
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