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Una veduta di Badolato

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Nell’operazione Ostro sono finiti ai domiciliari sindaco, vice, presidente del Consiglio e due assessori, ecco le ingerenze della cosca sul comune di Badolato


BADOLATO – «Una casa fatta col mio cemento». Sta, forse, in questa battuta fatta da Antonio Paparo, presunto esponente della cosca Gallace, il patto elettorale col clan per il quale i carabinieri del Rosa hanno fatto scattare gli per il sindaco Giuseppe Nicola Parretta, il vice Ernesto Maria Menniti, il presidente del consiglio comunale, Maicol Paparo, gli assessori Antonella Giannini e Andrea Bressi.

Tutti finiti ai domiciliari per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio politico-mafioso nell’ambito di un’inchiesta, denominata Ostro, della Dda di Catanzaro che ha portato a 44 misure cautelari disposte dalla gip distrettuale Sara Merlini, infliggendo un duro colpo alla cosca dominante nel Basso jonio catanzarese e con proiezioni nel Lazio e in Nord Italia. “Dominus” del patto scellerato sarebbe Antonio Paparo, secondo le risultanze della maxi indagine coordinata pool antimafia retto dal procuratore facente funzioni Vincenzo Capomolla e dalla sua sostituta Debora Rizza.

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LE INGERENZE DELLA COSCA SUL COMUNE DI BADOLATO

Nessuna assegnazione di lavori pubblici poteva avvenire senza il suo consenso, in base agli accordi da lui presi con Menniti. Anche perché non era possibile che a lui «non fosse dato niente». Altrimenti avrebbe picchiato tutti e sarebbero iniziati gli incendi delle auto, perché Paparo era disposto ad usare anche la violenza. «Tutti devono uscire sennò me li faccio nemici capitali, devono solo passeggiare e brucio pure le macchine».

Uno che aveva la pretesa di far cambiare la “politica” del sindaco. Di non far lavorare la ditta di un imprenditore che non aveva appoggiato la coalizione vincente. Di fare pressioni perché suo figlio, dopo essere stato eletto col numero più alto di voti – 170 – ottenesse la delega alle responsabilità erariali e perché non venisse nominata un’assessora non gradita al posto della quale indicò l’esterna Giannini, che peraltro si era candidata ottenendo 29 voti appena. Il sindaco fu costretto a telefonare all’esclusa comunicandole che la scelta le era stata imposta altrimenti avrebbe avuto contro la metà dei consiglieri.

Paparo, insomma, doveva essere informato di tutto ciò che accadeva in Comune. E sarebbe stato in grado di orientare la politica del sindaco, proponendo nomine e imponendosi quale affidatario di lavori pubblici. Teneva sotto scacco l’amministrazione, insomma, forte del fatto che il “cemento” lo aveva messo lui. Il cemento era costituito dai pacchetti di voti di cui, a quanto pare, Paparo disponeva. Come sapeva bene lo stesso sindaco se, come emerge da una conversazione intercettata, era lui stesso a sottolineare a Paparo che era “importante” che insieme a lui si facessero “vedere un poco in giro”, durante la campagna elettorale.

LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE DEL 2021

Sotto la lente sono finite le elezioni amministrative dell’ottobre 2021. Lo scontro era tra la lista “Vivi Badolato”, guidata da Parretta, e la lista civetta “Uniti per Badolato”, capeggiata da Menniti. Parretta era stato eletto per la prima volta nel 1977, rimanendo in carica fino al 1980. A distanza di circa 30 anni eletto per la seconda volta nel 2008 e poi riconfermato nel 2013. Ma il secondo mandato fu interrotto prematuramente nel 2014 in seguito all’inchiesta Free Boat Itaca che determinò lo scioglimento per mafia del consiglio comunale.

Parretta si era ormai trasferito a Roma, dove gestisce attività imprenditoriali. Tutto iniziò nell’estate 2020, quando Paparo incontrò più volte Parretta. Dalle intercettazioni emerge che Paparo invita Menniti, già sindaco e consigliere comunale, a partecipare alle successive riunioni. Si capisce, da altre intercettazioni, che Paparo sta intessendo un progetto politico perché invita alcuni coindagati a iniziare ad orientare le preferenze elettorali della propria cerchia relazionale verso le persone da lui indicate. Dalle intercettazioni successive alla vittoria elettorale si comprende ancora meglio il peso specifico di Paparo che, per esempio, invitava Giannini, alla presenza del marito Giuseppe Fiorenza, di non fare mai il suo nome mentre ribadiva che era stato lui a imporla come assessore esterna.

L’OMBRA DELLA COSCA SUL COMUNE DI BADOLATO, PAPARO: «DI ME HANNO TUTTI PAURA»

«Li prendo a calci nella pancia, hai capito che di me hanno tutti paura?», diceva ancora Paparo, che ad un altro voleva invece “staccare la testa”. Inoltre, pretendeva che il sindaco estromettesse dal suo staff l’avvocato Antonio Nisticò che non poteva avere ruolo decisionale non avendo partecipato alla competizione, a suo avviso. Perché, come diceva a Menniti, era lui a “comandare” e lo “spazio” se lo sarebbe preso anche se non glielo davano. Del resto, lo stesso Bressi si aspettava un incarico “alto” subito dopo l’elezione e chiedeva a Paparo: «datemi una mano».

Non è, quindi, un caso che Parretta, stando al capo d’imputazione contestato, chiedesse e ottenesse da Paparo, prima ancora delle elezioni, appoggio mafioso per la risoluzione di controversie che lo riguardavano tra cui quelle relative agli usi civici che bloccavano l’edificazione sui terreni intestati ad una sua società in un’ampia fascia a mare di Badolato già lottizzata. Quali ulteriori effetti dell’ingerenza di Paparo, secondo gli inquirenti, bisogna annoverare l’affidamento da parte del Comune di Badolato dei lavori di sistemazione della pavimentazione stradale alla Pas Menu su sua indicazione. Ma anche l’interessamento per l’assunzione a tempo indeterminato di un’agente di polizia locale e l’affidamento dei lavori per i parcheggi al candidato Bruno Paparo che si era “sacrificato” pur non prendendo voti.

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