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Giorgia Meloni

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Avviso di garanzia per favoreggiamento e peculato inviato dalla Procura di Roma. La reazione durissima della premier Meloni


La notizia arriva via Facebook, segno dei tempi anche questo, con un video della premier Meloni: i vertici del governo, la Presidente del consiglio, il sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il ministro della Giustizia Carlo Nordio sono indagati dalla procura di Roma per i reati di peculato e favoreggiamento in relazione alla liberazione e al rimpatrio in Libia del capo della polizia penitenziaria libica Najeem Osema Almasri Habish, più noto alle cronache come Almasri. Il generale è stato arrestato a Torino la notte tra il 18 e il 19 gennaio su mandato di cattura internazionale notificato via Interpol dalla Corte penale internazionale (Cpi) per una lista di reati che vanno dalla tortura allo stupro passando per l’omicidio. Nonostante la lista di reati che prevede l’ergastolo, il generale è stato liberato la mattina del 21 gennaio e la sera stessa rimpatriato con un volo di stato, un Falcon dei servizi segreti italiani con tanto di insegne italiane che è atterrato la sera stessa a Tripoli tra ali di folla in tripudio.

MELONI E LE IPOTESI DI REATO


Le ipotesi di reato, della cui valutazione si farà carico nel caso il Tribunale dei ministri, nasce da queste precise circostanze. Il favoreggiamento è relativo al fatto che Almasri sembra essere stato liberato per “l’inerzia” del ministro della Giustizia che, nonostante fosse informato del mandato di cattura dal giorno 19, non ha trovato tempo nelle 48 ore successive di valutare il fascicolo e dare il suo assenso. Oppure no, e nel caso motivarlo. Come prevede la legge. Così la procura generale di Roma, nonostante le “reiterate” richieste, lo ha liberato il 21 gennaio intorno alle 14. Il peculato nasce dal fatto che un Falcon in dotazione alla Presidenza del Consiglio è stato fatto alzare in volo per andare da Roma a Torino a recuperare il generale libico e poi portarlo direttamente a Tripoli. Un impiego del genere, andata e ritorno, ha un costo tra i 6 e i 10 mila euro tra carburante, equipaggio e personale impiegato. Soldi che, secondo l’ipotesi della procura, sono stati uno spreco di risorse pubbliche.

L’ESPOSTO DI DENUNCIA DELL’AVVOCATO LUIGI LIGOTTI


Il procuratore Lo Voi ha agito sulla base di un esposto denuncia dell’avvocato Luigi Ligotti, ex parlamentare (è stato sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi e poi eletto con Italia dei valori) e avvocato di parte civile o legale di collaboratori di giustizia in processi che hanno fatto la storia d’Italia, da piazza Fontana all’omicidio Calabresi, dalle stragi di mafia di Capaci, via D’Amelio e Uffizi e al fianco, in tribunale, di collaboratori di giustizia del calibro di Buscetta, Brusca, Mutolo, Marino. Li Gotti è depositario di tanti segreti nazionali.
Nella sua denuncia si chiede che vengano “svolte indagini sulle decisioni adottate e favoreggiatrici del suddetto Osama Almasri, nonché sulla decisione di utilizzare un aereo di Stato per prelevare il catturato (e liberato) a Torino e condurlo in Libia”. Li Gotti ricorda anche che secondo il reato di favoreggiamento personale (art. 378 comma 1 del codice penale) “chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce l’ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti, è punito con la reclusione fino a quattro anni”.

L’ATTO DOVUTO DELLA PROCURA DI ROMA


Di fronte a questa denuncia quello della procura di Roma è un atto dovuto. Il procuratore doveva procedere in questo modo pur nella consapevolezza che l’avvio dell’indagine sarebbe stata subito utilizzata per armare l’attacco finale alla magistratura. E non per fare chiarezza di quanto è successo in questa settimana e che dovrebbe essere nell’interesse di chiunque ha a cuore la democrazia, il diritto internazionale e umanitario. Il rispetto delle regole.
Per essere più chiari: il dossier Almasri non deve essere confuso con lo scontro tutto politico sulla separazione delle carriere. Chi fa questo continua a non capire la gravità di quanto è successo sul caso Almasri. Giorgia Meloni sembra aver scelto questa strada, che è anche dal suo punto di vista, quella più utile. Nel video di quattro minuti il cui titolo potrebbe essere “non sono ricattabile, avanti a testa alta” la premier dà notizia dell’avviso di garanzia con toni quasi compiaciuti e raffigurando un governo sotto l’attacco della magistratura e della sinistra che azionerebbe le leve delle toghe. Alimentando così la narrazione vittimistica del bunker in cui la premier e il suo cerchio magico si difendono a testa alta sprezzanti degli attacchi perché loro continuano a perseguire un unico obiettivo: “L’interesse del popolo e il bene della Nazione”.

IL VIDEO DI GIORGIA MELONI


Sarebbe bastato, nei giorni scorsi, provare a spiegare cosa è realmente successo ammettendo anche errori o segreti di Stato. Invece anche ieri nel video Meloni ha continuato con le imprecisioni e le accuse alla magistratura italiana e alla Corte penale di Giustizia.
Siamo, purtroppo, al punto più alto di uno scontro trentennale tra politica e magistratura.
È utile precisare che la premier quando succedono i fatti sotto indagine è quasi sempre all’estero. Prima in missione a Washington e poi in Arabia Saudita. Dunque non era lei il commander in chief nelle ore cruciali in cui Almasri è stato liberato.
Motivo per cui Meloni potrebbe anche uscire di scena prima degli altri. Dopo di che la premier anche ieri ha continuato ad alimentare una narrazione non corretta dei fatti. Ha continuato a scaricare la colpa sui magistrati della Corte d’Appello di Roma: «Sono loro che hanno liberato il generale e noi lo abbiamo riportato in Libia perché libero in Italia sarebbe stato un pericolo pubblico». È la stessa tesi sostenuta dal ministro dell’Interno Piantedosi quando la scorsa settimana ha “informato” il Parlamento. In modo così omissivo che infatti sarebbe tornato a spiegare oggi insieme con il ministro Nordio. Le due informative sono state annullate ieri sera alle venti.
Nella sua versione, per quanto sintetica, la premier ha omesso di precisare che la Corte d’appello di Roma libera Almasri perché, come si legge nell’atto firmato dal Procuratore generale, «nonostante la reiterate richieste il ministro non si è pronunciato sulla conferma dell’arresto del generale tra il 19 e il 21 gennaio». Per questo il Pg definisce “irrituale” il silenzio del ministero della Giustizia.

IL “COMPLOTTO DELLA MAGISTRATURA INTERNAZIONALE”


In seconda battura la premier allude ad un complotto della magistratura internazionale. Nella fattispecie i magistrati della Corte penale dell’Aja perché “Almasri ha girato per l’Europa per 12 giorni e guarda caso il mandato di arresto arriva quando mette piede in Italia”. Forse che gli altri stati, Germania e Uk, sono stati più “bravi” nel far sparire Almasri prima di essere intercettato?

Se così fosse – e siamo in piena real politik – perchè non l’abbiamo fatto anche noi invece di infilarci in questo pasticcio?
Per chiamare le cose col proprio nome: se Almasri è un intoccabile per mille motivi che hanno a che fare con la situazione in Libia e sono coperti da segreto di stato, perché non è stato fatto salire su un volo di linea con direzione Malta o Cipro o altro prima che venisse fermato?
Un pasticcio, appunto.
Di cui il governo non si è voluto prendere la responsabilità e che ora è finito nell’unico modo possibile: l’avvio di un’indagine. Il procuratore Lo Voi, che tutto può essere tranne che “una toga rossa”, ha dato seguito ad un atto dovuto. Non ha pubblicizzato la notizia che è stata rilanciata via social da Palazzo Chigi. Ora dovrà valutare se inviare il fascicolo al Tribunale dei ministri che a sua volta deciderà se e come procedere.

LI GOTTI: «HO DENUNCIATO PER UNA QUESTIONE DI DIGNITÀ»


La denuncia di Li Gotti risale al 23 gennaio. L’iscrizione al registro è del 27 gennaio. Ieri la notifica alle parti. “Ho denunciato per una questione di dignità – ha spiegato il legale – perché come cittadino non sopporto le menzogne delle autorità statali, i sotterfugi. E mi dà fastidio il pensiero che noi sappiamo perché il generale libico è stato mandato in Libia: ciò per gestire i centri di detenzione attraverso anche le violenze, la tortura, l’assassinio. Noi sappiamo quello che farà”. Parole di buon senso. Non certo di un invasato. Le opposizioni non devono gioire per questa indagine. E infatti non lo stanno facendo. Lo scontro sulla giustizia, che nulla dovrebbe entrare in questo caso, è preoccupante per chi ha a cuore lo stato di diritto.


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