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La corte d'Appello di Catanzaro

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CUTRO – Inquietante episodio di natura intimidatoria ai danni del collaboratore di giustizia Giuseppe Liperoti, ex cassiere della super cosca Grande Aracri, che ieri, nel giorno in cui avrebbe dovuto deporre in videoconferenza, collegato da un sito “protetto”, nel processo d’appello scaturito dall’inchiesta che nel gennaio 2015 portò all’operazione Kyterion, ha ricevuto una lettera di minacce in cui gli si intima di ritrattare. Del caso il suo legale, l’avvocato Arnaldo Celia, ha informato il pm della Dda di Catanzaro Domenico Guarascio che ha avviato le indagini. A Liperoti nell’estate scorsa ignoti peraltro incendiarono la residenza estiva a Steccato di Cutro.

 

È così saltata l’udienza davanti alla Corte d’assise d’appello del capoluogo calabrese per le 25 condanne del novembre 2016, inflitte col rito abbreviato, fra le quali spicca quella a 30 anni di carcere per il super boss Nicolino Grande Aracri, ritenuto colpevole, tra l’altro, del delitto Dragone quale mandante. Liperoti, che avrebbe dovuto essere sentito su alcuni temi insieme ad altri pentiti dei quali sono stati acquisiti i verbali, Antonio Valerio e Vittorio Spadafora, è un nipote acquisito del boss (è un genero di Antonio Grande Aracri, fratello di Nicolino) e sa molte cose della famiglia, in particolare su quel delitto spartiacque, compiuto nel maggio 2004. Perché, eliminato il rivale storico, secondo convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, da allora il boss di Cutro subentrò ai cirotani al vertice della “provincia” di ‘ndrangheta.

E Liperoti, come già riferito dal Quotidiano che ha anticipato il contenuto dei verbali, avrebbe dato il suo contributo quale vedetta, appostandosi, munito di cannocchiale, persino in un cassonetto della spazzatura per scrutare i movimenti della vittima predestinata. L’udienza è stata rinviata ufficialmente perché l’imputato Lino Greco, uno dei presunti killer della cosca, non era collegato in videconferenza ma ci sono motivi di sicurezza che hanno indotto la Corte a far slittare tutto.

Le analogie corrono e s’incrociano, e forse è in atto una strategia intimidatoria contro i pentiti che stanno proliferando come funghi all’interno di un’organizzazione criminale falcidiata da arresti e condanne: il 18 aprile scorso, come già riferito dal Quotidiano, l’ex commercialista dei Grande Aracri al Nord, il parmigiano Paolo Signifredi, è stato pestato da tre sicari, anche lui nel sito cosiddetto “protetto”, e minacciato affinché ritrattasse quanto già dichiarato agli atti dei processi Aemilia e Pesci, paralleli al processo Kyterion.

LEGGI DELL’INTIMIDAZIONE DEL COMMERCIALISTA
TESTIMONE NEL PROCESSO AEMILIA

Sulle località in cui vivono i testimoni, a quanto pare, aleggia un segreto di Pulcinella, almeno per gli uomini di un clan al quale non è rimasto che intimidire i pentiti dopo che, nel gennaio 2015, venne colpito con una manovra a tenaglia da tre Dda – quelle di Catanzaro, Bologna e Brescia – che con le operazioni Kyterion, Aemilia e Pesci disarticolarono una “provincia” di ‘ndrangheta che comandava su mezza Calabria, parte dell’Emilia e della Lombardia con audace rivendicazione di autonomia dal crimine reggino. Da quella manovra sono scaturiti processi sparsi in mezza Italia contro oltre 300 persone in gran parte di Cutro o provenienti da Cutro. Ma di presunte intimidazioni, in un’udienza del processo Aemilia, ha parlato anche il pentito Valerio sostenendo in videoconferenza, dalla località segreta in cui è ristretto, di sentirsi minacciato dalle frasi di alcuni imputati.

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