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‘Ndrangheta stragista, annullate in Cassazione le condanne per il duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo

La Corte di Cassazione ha accolto, per buona parte, il ricorso presentato dai legali degli imputati nel processo “Ndrangheta Stragista. Gli avvocati Giuseppe Aloisio, Federico Vianelli, Guido Contestabile e Salvatore Staiano difensori di Giuseppe Graviano il boss di Brancaccio e Rocco Santo Filippone di Melicucco, ritenuto uomo dei Piromalli di Gioia Tauro.

Annullata con rinvio la sentenza di appello che adesso dovrà essere celebrato nuovamente.
La ‘ndrangheta calabrese, dunque, secondo la Cassazione, non partecipò insieme a Cosa Nostra siciliana all’operazione stragista che sconquassò l’Italia all’inizio degli anni ’90. Tutto iniziò 30 anni fa con un agguato sull’autostrada, oggi A2, quasi all’altezza dello svincolo di Scilla che portò all’uccisione dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo.

La Corte non ha confermato le sentenze di primo e secondo grado che avevano condannato all’ergastolo i due imputati eccellenti.
La Cassazione ma ha solo confermato le accuse di associazione a delinquere di stampo mafioso per Filippone e ha annullato il tutto con rinvio. La sentenza è arrivata ieri a tarda sera e ha smontato l’impianto accusatorio che aveva portato la Procura di Reggio Calabria quasi a riscrivere la storia dei rapporti tra Cosa Nostra e ‘ndrangheta e il patto scellerato sull’operazioni stragiste dei primi anni ’90.


Tutto era iniziato la sera del 18 gennaio 1994 con l’uccisione dei due Carabinieri sull’autostrada. Poi seguirono le mattanze di via dei Georgofili a Firenze, quella di via Palestro a Milano, le bombe esplose a Roma in via Fauro e quella del Velabro e di San Giovanni Laterano con l’obiettivo di destabilizzare l’Italia.
Atti, non confermati dagli ermellini, che sarebbero dovuti servire a costringere le istituzioni a revocare il carcere duro ed evitare che il governo del paese finisse, dopo gli anni di tangentopoli nelle mani della sinistra.
Attentati che fecero tremare la democrazia, verso i quali il Paese reagì a muso duro. Una guerra che le mafie volevano portare all’interno dello Stato. Che il processo celebratosi a Reggio Calabria ha cercato di ricostruire nei dettagli attraverso il lavoro di inchiesta dei Carabinieri coordinati dai Pm della locale Procura Giuseppe Lombardo e Walter Ignazitto arrivando ad ottenere le condanne a vita sia in primo grado che in appello.
Accuse che però non hanno retto al vaglio della Cassazione. Filippone veniva ritenuto uomo di fiducia della potente famiglia Piromalli di Gioia Tauro. Di Graviano si conosceva molto. Poco invece di Filippone definito dal Procuratore Lombardo nella sua requisitoria: «Un uomo un passo sotto Dio». Un uomo che, nella ricostruzione offerta dai collaboratori di giustizia Consolato Villani e Giuseppe Calabrò (che è nipote di Filippone), aveva un ruolo di vertice dentro la ‘ndrangheta reggina.
Proprio Villani inquadrò nel 2003 il vero motivo dell’uccisione dei Carabinieri Fava e Garofalo all’inizio ritenuta un’azione per proteggere un carico di armi.
Per i giudici che hanno scritto la sentenza di primo grado, si trattò di attentati che «hanno costituito uno dei momenti più significativi di un cinico piano di controllo del potere politico nel quale sono confluite tendenze eversive anche di segno diverso (servizi segreti deviati) per effetto anche della ‘evoluzione’ originata dall’inserimento della mafia siciliana e calabrese all’interno della massoneria».


«Io dubbi non ne ho – disse ancora Lombardo – , perché i soggetti che hanno dichiarato hanno vissuto in un contesto criminale unico ma distantissimi tra di loro nel tempo e nello spazio».
La sentenza della Cassazione rimette in dubbio la validità delle indagini dei Carabinieri fatte proprie dalla Procura. E il 17 gennaio del 2021, Francesco Adornato, indagato nell’inchiesta della Dda, ha rivelato alcuni dettagli circa una riunione avvenuta a Nicotera, presso il resort Sayonara, dove le famiglie mafiose calabresi hanno dato la loro disponibilità a Cosa Nostra per partecipare alle stragi. Il Procuratore Lombardo, nella requisitoria, un messaggio preciso lo aveva mandato: «Quando Graviano troverà la forza di dirci chi gli ha chiesto il proseguimento della strategia stragista già in atto, avremo un ulteriore tassello di verità».


Quella forza Graviano non l’ha trovata così come non ha mai spiegato la frase che pronunciò nel bar Doney di via Veneto a Roma: «Abbiamo il Paese nelle mani. I calabresi si sono mossi».
I giudici della Cassazione hanno bocciato il ruolo di mandanti di Graviano e Filippone sugli attentati ai Carabinieri in Calabria.
La tesi della Procura, fondava i fatti in un preciso contesto politico: l’autunno del ‘93 “in cui l’Italia, dopo moltissimo tempo corre il rischio di un governo a guida comunista”.
I giudici, nelle motivazioni delle due sentenze precedenti del processo ‘Ndrangheta Stragista avevano fatto espresso riferimento ai “mandanti politici” delle stragi che, venivano rivendicate dalla ‘Ndrangheta e da Cosa nostra con la sigla “Falange Armata”.

Nella sentenza di primo grado si sottolineava come: «dietro agli attentati è “assai probabile” che oltre alla ‘ndrangheta e a Cosa nostra vi fossero “dei mandanti politici che attraverso la ‘strategia della tensione’ volevano evitare l’avvento al potere delle sinistre».
Un concetto ribadito anche nel secondo processo dove il Procuratore aveva fatto riferimento a “interlocutori politici”. «Se poi la storia ci fa paura perché diventa significativa a livello giudiziario – disse Lombardo – non è un problema mio. Questa è la storia».
E la sentenza della Cassazione questa storia adesso la mette in discussione. «Non vi è alcun compiacimento poiché questo esito era stato ampiamente previsto da noi difensori sin dal primo minuto». Lo ha dichiarato l’avv. Guido Contestabile uno dei difensori di Filippone. «Svuotata di contesto l’ipotesi di una ‘ndrangheta stragista» ha commentato invece l’avv. Salvatore Staiano. «Deve essere fatto un nuovo processo di appello bis, con una corte in diversa composizione» – hanno aggiunto entrambi.

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