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Il procuratore Giuseppe Capoccia

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Intervista al procuratore Capoccia che lascia Crotone: la ‘ndrangheta «ha reti di connivenze»; Il naufragio di Cutro è uno «Spartiacque».


CROTONE – «Il naufragio di Cutro è stata il punto da cui il territorio ha cominciato a risalire»; Lo dice al Quotidiano del Sud Giuseppe Capoccia al termine del suo mandato di procuratore a Crotone, dove si insediò nel 2015. All’indomani della nomina da parte del Csm a procuratore di Lecce, proviamo a tracciare un bilancio dell’attività svolta a tutto campo da Capoccia nella città di Pitagora. Una terra crocevia dell’immigrazione, in cui sono stanziate cosche di ‘ndrangheta tra le più agguerrite d’Italia e che è una bomba ambientale per la mancata bonifica dopo la dismissione delle fabbriche. Ma il fatto spartiacque è il naufragio in cui, in una gelida alba del febbraio 2023, morirono cento migranti. Sia per le dimensioni della tragedia, sia perché ha inciso in qualche misura sui modelli di soccorso, sia perché ha contribuito a sprigionare le migliori energie del territorio.

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Procuratore Capoccia, cosa ha rappresentato il naufragio di Cutro?

«Cutro è stata qualcosa di enorme. Non è un caso che da allora il fenomeno migratorio abbia subito una forte battuta d’arresto, almeno per quanto riguarda la rotta di provenienza dalla Turchia, che però poi è ripresa, sia pure da poco. Gli interventi delle forze dell’ordine adesso avvengono molto più al largo. Certo, c’è stata la tragedia di Roccella, ma molto più al largo, e non abbiamo quasi avuto più sbarchi sotto costa perché appunto si interviene prima. C’è stato un impegno al massimo delle possibilità del mio Ufficio. Ma direi anche al massimo dell’impegno per tutte le istituzioni del territorio. Polizia, carabinieri, guardia finanza e guardia costiera, sindaci, prefettura. Tutti siamo usciti a testa alta da questa sfida dimostrando a tutta l’Italia che questo territorio è capace di esprimere grandi energie e saper fare. Anche se a volte nemmeno ci si crede. Tutti assieme abbiamo dimostrato che questo territorio non è un lembo non strutturato dello Stato. La tragedia di Cutro è il punto da cui questo territorio ha ricominciato a risalire. Da quel momento tante piante messe a dimora hanno iniziato a germogliare. Non mi riferisco soltanto alla solidarietà. Ma è nata una nuova idea del porto, ci sono progetti e cantieri in tanti ambiti, perfino la bonifica tra mille difficoltà comunque muove i suoi passi. Cutro ha generato un aumento dell’attenzione nazionale su questo territorio».

L’elemento caratterizzante di questo territorio, dal suo osservatorio privilegiato?

«I crotonesi devono riappropriarsi di un amor proprio che sembra latitare. Ora prevale l’attuale umore dell’area tarantina. I crotonesi sono demoralizzati. Il resto del Salento si caratterizza per grande voglia di fare in ogni ambito. Con una effervescenza che è carente nel Crotonese. Ho la sensazione che, spesso, chi sa fare non si ferma qui. Molti decidono di sviluppare le loro potenzialità altrove e questo significa depauperamento di energie per il territorio. Un’emorragia continua».

In fondo, Crotone è una piccola Taranto anche per la mancata bonifica industriale. Altre analogie e differenze col suo Salento?

«Il turismo è il grande volano dell’area salentina. Qui fa ancora fatica e non vedo dinamismo di energie forestiere. Grandi fondi stranieri vengono a fare investimenti nel Salento. Bisogna domandarsi perché in Calabria non c’è la stessa attrattività nonostante un territorio straordinario in termini di bellezze naturali, siti incontaminati, centri storici bellissimi e reperti ovunque. Dalla Magna Graecia in poi si trova di tutto in Calabria».

Lo scambio con la Dda di Catanzaro è stato continuo. Vostri fascicoli sono confluiti in quelli della Dda e fascicoli sono approdati a Crotone da Catanzaro. Questa è anche una terra in cui la pervasività della ‘ndrangheta è forte…

«Indubbiamente. Quando si pensa alla ‘ndrangheta si pensa ancora alla criminalità violenta. Ma la mafiosità ha abbandonato il modello violento. La logica è un’altra, oggi. La ‘ndrangheta si appoggia a una rete di connivenze nella cosiddetta società civile e a interessi privati in danno del pubblico. Pensiamo alla massomafia, per esempio. Mica la ‘ndrangheta conquista Milano o l’Emilia sparando. La presenza ‘ndranghetistica è più affaristica. Se non si entra in questa ottica, noi in Calabria continueremo a non vedere quello che oggi è la ‘ndrangheta».

In che tipologia di reati vi siete imbattuti più spesso, a parte la contiguità mafiosa?

«C’è una debolezza del tessuto produttivo che determina la polverizzazione delle imprese, spesso abbandonate a sorti infauste con strascichi di debiti fiscali o in danno dei lavoratori. Abbiamo constatato che tante società falliscono e poi troviamo milioni di euro di contributi non versati ai lavoratori o di tasse non pagate. Intere economie girano su questo territorio non pagando le tasse e non creando ritorno per il territorio».

Che altro c’è che l’ha colpita, da procuratore?

«L’evasione del consumo d’acqua è qualcosa di incredibile. Possibile che i Comuni non riescano a far pagare a tutti l’acqua che entra nelle case? I furti d’acqua, sia in campagna che in città, sono un dato importante delle notizie di reato di questo ufficio. Questo spiega perché abbiamo condotte colabrodo nonostante la Calabria sia ricchissima di acqua, con le sue meravigliose sorgenti. Il soggetto unico regionale che dovrà gestire il sistema idrico è un grande passo avanti. Nelle altre regioni esiste già.  Forse così problemi di depurazione potrebbero avviarsi a soluzione. Ci sono zone come Isola che dovrebbero essere ricche di insediamenti turistici e invece arrancano perché manca l’acqua o i depuratori vanno in tilt».

Torniamo all’analogia con Taranto e alla mancata bonifica. Impazza la querelle e ancora non è assolutamente chiaro se le scorie verranno mandate all’estero da Eni Rewind…

«Per il passato abbiamo chiesto archiviazioni, come è noto, ma stiamo seguendo l’attuale evoluzione. C’è un percorso già autorizzato, la bonifica non ha un filone unico. Alcuni lotti sono stati collaudati e terminati. Ma la parte interna e le discariche a mare sono il punto centrale e si è arrivati al dunque. Il meccanismo è enorme. Parliamo di un’operazione raramente tentata in Europa come volumi di spostamento. Quando nove anni fa cominciai a interessarmi, si era in una situazione di stallo. Questa evoluzione, sia pure non lineare e a singhiozzo, rappresenta un passo avanti decisivo per un’operazione che necessiterà di dieci anni di lavoro. Ciascuno cerca di svolgere al meglio il proprio ruolo. C’è un dialogo, sia pure duro, tra i vari soggetti coinvolti. Soltanto cinque anni fa parlare di un decreto con cui si autorizzava lo stoccaggio o la partenza dei rifiuti era qualcosa di impossibile da sognare. Adesso almeno si parla di dove mandare i rifiuti, che comunque si muoveranno da quelle discariche in riva al mare».

Lavorare fuori dalla propria terra è sempre un dolore. Lei ha la fortuna di tornare nella sua Lecce…

«Quando sono arrivato a Crotone nemmeno sapevo dove si trovasse. Mi sono innamorato di questa città di cui ho sempre apprezzato la bellezza, mista alla sua fragilità. Ho vissuto questi anni con l’energia di chi vuole aiutare un territorio a venir fuori dal torpore».

Il suo più grande successo?

«Il mio grande più successo è stata la demolizione di palazzo Mangeruca. Nessuno mi ha riconosciuto il merito di averlo tirato giù, eppure tutto nasce dalla mia contemplazione di quel mostro che vedevo due volte a settimana nei miei percorsi per rientrare a casa e tornare a Crotone. Non volevo più vedere quella struttura e ho iniziato a parlarne coi collaboratori e a recuperare il fascicolo. Ho constatato che era incompleto. Ho promosso un incidente di esecuzione. Ne ho chiesto l’attuazione. Ho interloquito con l’Agenzia dei beni confiscati alla mafia e con la Regione Calabria. Ho perfino chiesto preventivi sui costi della demolizione. Ed è ora una grande soddisfazione passare da lì e non vedere più quel palazzo abbandonato che non era più neanche il segno di un impero criminale ma di uno spreco di energie di cui il territorio non si avvaleva. Grande soddisfazione anche il sequestro della lottizzazione a Punta Scifo, con cui abbiamo fermato lo scempio del promontorio di Capocolonna, al di là del processo. Anche il progetto per l’ex area Sensi del porto nasce da una mia sensibilità. Questa è la mia idea di Procura».

Rimpianti?

«Nessuno. Certo, avrei voluto vedere realizzata la bonifica. Ma intanto qualcosa si muove».

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