INDICE DEI CONTENUTI
- 0.1 Colonnello Mommo, la violenza sulle donne è diventata una vera e propria emergenza, quale è la situazione nella provincia di Cosenza?
- 0.2 Quali sono i reati di genere che emergono con maggiore frequenza?
- 0.3 In quali contesti matura maggiormente, anche a Cosenza, la violenza sulle donne?
- 1 Parliamo ora di donne. Quando le vittime trovano la forza di denunciare? E anche se ogni storia e a sé, ci sono dei tratti comuni in chi decide di liberarsi dalla morsa della violenza?
- 2 Quali sono i maggiori timori che, a volte, impediscono alle donne di denunciare i propri aguzzini?
- 3 E sulla validità dei braccialetti elettronici sui quali, ultimamente, ci sono state molte polemiche, cosa ne pensa?
Cresce la violenza sulle donne nel territorio di Cosenza. Intervista al colonnello dei carabinieri Mommo: «In casa troppi mariti padroni»
Il tema è complesso, doloroso. E avere la possibilità di parlarne con chi, per scelta e vocazione, la violenza sulle donne è chiamato a indagarla, a comprenderla nelle sue pieghe più profonde, aiuta ad andare oltre il singolo caso e capire sia le dinamiche interne che la generano che intravedere delle soluzioni capaci di arginarla.
È con il colonnello Andrea Mommo, nuovo comandante provinciale dei carabinieri di Cosenza, che ci addentriamo nel mondo oscuro dei reati che rientrano nel cosiddetto “Codice rosso” che comprende atti persecutori, maltrattamenti, violenza sessuale, revenge porn, tutti fenomeni che gravano e ruotano attorno alla figura femminile.
Colonnello Mommo, la violenza sulle donne è diventata una vera e propria emergenza, quale è la situazione nella provincia di Cosenza?
«La violenza di genere, quella contro e sulle donne è un tema verso il quale l’Arma dei carabinieri è sempre stata particolarmente sensibile. In termini numerici posso dire che nel 2023 a fronte di diciassettemila reati complessivi, l’Arma è intervenuta nell’83 per cento dei casi, registrando in ambito provinciale 815 casi di violenza di genere. Quest’anno su tredicimila reati complessivi a oggi, con interventi dell’Arma nell’87 per cento dei casi, di nuovo sono 815 quelli legati alla violenza sulle donne. Di fronte a questo dato complessivo che riguarda tutta la provincia, i reati riconducibili alla violenza di genere si attestano attorno al 5 per cento nel 2023 e al 7 per cento nell’anno in corso. Abbiamo, dunque, uno spaccato molto importante rispetto al dato complessivo, che fa emergere come l’indice più alto interessi il centro, Cosenza e Rende, dove si verificano nel computo complessivo circa il 40 per cento dei reati. Altre aree molto sensibili al fenomeno con un dato pari al 24 per cento, sono il Basso Ionio, Corigliano Rossano, e quella dell’Alto Tirreno. Sul resto del territorio rileviamo percentuali piuttosto contenute con il Savuto, la zona di Rogliano, dove si registrano meno reati di genere. Ma questi numeri non ci devono far abbassare la guardia perché sappiamo bene che in alcune realtà rurali le violenze contro le donne ci sono ma non vengono allo scoperto, non vengono denunciate».
Quali sono i reati di genere che emergono con maggiore frequenza?
«Al primo posto ci sono i maltrattamenti familiari, questo è il dato più sensibile in assoluto. Seguono gli atti persecutori e il mancato rispetto dei provvedimenti giudiziari».
In quali contesti matura maggiormente, anche a Cosenza, la violenza sulle donne?
«Il problema si rileva soprattutto in contesti culturalmente poveri dove l’uomo riveste ancora il ruolo del padre-padrone, con elementi di contorno da non sottovalutare come l’abuso di alcol e la tendenza a soffocare la libertà delle persone che gli vivono accanto».
Parliamo ora di donne. Quando le vittime trovano la forza di denunciare? E anche se ogni storia e a sé, ci sono dei tratti comuni in chi decide di liberarsi dalla morsa della violenza?
«Questo è l’aspetto più sensibile del problema. Le donne decidono di denunciare quando non riescono più a trovare una via d’uscita. E se anche i figli diventano oggetto di violenza, il bisogno di proteggerli, di metterli al riparo, può far trovare la forza necessaria per chiedere aiuto. Anche uno stato di salute precario può spingere alla denuncia. Quello che noi cerchiamo di trasmettere alle donne che la maggior parte delle volte si rivolgono alle stazioni dei Carabinieri per chiedere soltanto delle informazioni, è la certezza sul fatto che non saranno lasciate da sole. I nostri uomini sono stati adeguatamente formati per affrontare queste situazioni, per annullare le distanze e avere un approccio corretto con chi è in difficoltà».
Quali sono i maggiori timori che, a volte, impediscono alle donne di denunciare i propri aguzzini?
«La domanda più frequente che si pongono è: “Ma se io lo denuncio, dove andrò a vivere?”. E poi temono di perdere i propri figli. Ma soprattutto hanno paura che la persona denunciata, seppur arrestata, possa ritornare in libertà e mettere in atto d propositi di vendetta. Sono tanti i dubbi che assalgono queste donne in difficoltà e tocca a noi fornire delle risposte adeguate ai loro problemi per accompagnarle e sostenerle nella loro scelta di libertà”.
Com’é organizzata la rete di sostegno alle donne?
«Noi abbiamo una profonda conoscenza del territorio e delle realtà associative che accolgono le donne in difficoltà. Nel 2014 abbiamo sottoscritto un protocollo d’intesa con l’associazione “Soroptimist” per realizzare queste “Stanze tutte per sé”. Ne abbiamo una al Comando provinciale e il prossimo anno riusciremo a realizzarne un’altra al reparto di Corigliano e spero in breve tempo di coprire anche Paola. Noi siamo in stretto contatto con i Centri antiviolenza, le Case rifugio e tutte le realtà del territorio, che si occupano di violenza di genere».
La cronaca spesso è stata costretta ad occuparsi di donne uccise nonostante abbiano denunciato gli uomini maltrattanti. Cosa non ha funzionato in quei casi?
«Spesso per la mancanza di informazioni si può incorrere nella sottovalutazione di un caso. Ma credo che anche sul piano legislativo, oggi, abbiamo gli strumenti per offrire alle donne la giusta protezione. Dobbiamo continuare a lavorare».
E sulla validità dei braccialetti elettronici sui quali, ultimamente, ci sono state molte polemiche, cosa ne pensa?
«Il limite dei braccialetti elettronici è rappresentato dalla mancanza di copertura della rete in alcune zone ma servono più di quanto si possa immaginare. Ora, poi, ci sono molti altri strumenti tecnologici di ultima generazione che possono fornire maggiore tutela alle donne che denunciano. Siamo tutti impegnati a trovare soluzioni adeguate ai loro problemi».
Colonnello, l’ultima domanda gliela vorrei porre come uomo e non come ufficiale dell’Arma: cosa le procura sul piano personale, il dolore di una donna maltrattata?
«Guardi, quando incontro i giovani nelle scuole, dico sempre che una donna è come un petalo di rosa, è una creatura delicata della quale prendersi cura se non la si vuole vedere sfiorire, toglierle tutta la sua bellezza interiore. Purtroppo ci sono uomini che non l’hanno capito».
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