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Due questioni complesse in Europa per il nuovo corso di Ursula von der Leyen: da una parte il nodo Fitto, dall’altra quello Ribera
Il prezzo del compromesso sono due ipoteche. E non è mai un buon viatico quando un contratto che deve essere solido e resistente come quello che dà il via al governo dell’Unione europea nasce con queste premesse. Manca ancora l’ultimo atto, la votazione finale dell’Eurocamera il 27 novembre dove lo scrutinio sarà segreto, ma intanto lo scoglio che poteva interrompere subito e in modo traumatico la navigazione del von der Leyen 2 è stato aggirato mercoledì sera intorno alle 23.
EUROPA, IL NODO RIBERA PER URSULA
Con due ipoteche, appunto. La prima riguarda la vicepresidenza esecutiva di Teresa Ribera, la socialista spagnola cui Ursula von der Leyen ha affidato uno dei portafogli più pesanti, quello della Transizione ecologica (il green deal) con la prerogativa della vicepresidenza esecutiva. Nel governo di centro sinistra di Pedro Sanchez, Ribera è ministra alla Transizione ecologica e alla Sfida demografica nonché terza vicepremier ed è stata messa sotto tiro in Spagna e dai Popolari a Bruxelles per il disastro dell’alluvione che ha ucciso 270 persone a Siviglia.
In realtà è stato soprattutto il regolamento di conti spagnolo a bloccare tutto, e quindi anche Fitto, da oltre una settimana. Teresa e Raffaele, simul stabunt simul cadent: presi in ostaggio insieme per motivi diversi, sono diventati l’uno l’impedimento dell’altro/a e viceversa. Il primo scoglio da aggirare è stato quello di Ribera. Ed è stato fatto con un allegato durissimo («dichiarazione di mi-noranza») alla lettera di valutazione che impegna la vicepresidente esecutiva a dimettersi in modo irrevocabile qualora, dopo la sua audizione al Parlamento spagnolo, la magistratura dovesse procedere con qualche incriminazione.
L’EUROPA DI URSULA E LA TAGLIOLA SU FITTO
Boccone amaro da trangugiare per i Socialisti. Che si sono rifatti sul via libera alla vicepresidenza esecutiva di Raffaele Fitto, nella cui lettera di valutazione c’è un ammonimento importante: «Il Pse non è d’accordo su questa nomina. Prendiamo atto che si tratta della volontà della Presidente. Ricordiamo qui che il vicepresidente Fitto dovrà dimostrare di essere pienamente indipendente dal suo governo nazionale, come richiesto dai Trattati, e che si impegni ad applicare il meccanismo di condizionalità dello stato di diritto e lavorare sul rafforzamento dello stato di diritto della Ue».
In sostanza, alla prima votazione, intervento, presa di posizione del governo Meloni giudicata non in linea con lo spirito e gli interessi dell’Unione, Fitto dovrà prendere le distanze dalla sua maggioranza nazionale e agire in linea con la Commissione. Cosa succederà, però, se sarà proprio la Commissione von der Leyen ad agire secondo interessi che Socialisti, Liberali, Verdi e una parte stessa dei Popolari dovessero giudicare non in linea con i Trattati e con le nuove sfide dell’Unione?
Sta tutta qui la vistosa fragilità del von der Leyen 2. Nato a luglio con gli oltre 400 voti (ne bastavano 371) di Ppe, S&D, Liberali e Verdi (il cui coinvolgimento irritò subito e non poco la componente più a destra del Ppe) e con il no convinto di Ecr (la famiglia politica europea di cui fa parte FdI), Patrioti (Salvini e Orban) e il gruppo ancora più a destra, il governo von der Leyen ora si trova a iniziare la navigazione (vedremo come andrà il voto il 27 novembre) con numeri diversi.
L’EUROPA DI URSULA, EQUILIBRI STRAVOLTI
L’accordo e il compromesso della notte passata hanno visto tutti uniti, per essere più chiari – con una sintesi che non piacerà ai diretti interessati – Fratelli d’Italia ha votato con il Pd, i 5 Stelle con i Patrioti di Salvini e di Orban, Fitto che è di FdI entrare in un governo con il Pd. E però, un minuto dopo Socialisti e democratici, i Verdi (di cui fanno parte i 5 Stelle) hanno già detto che voteranno contro in aula. Insomma, il Vdl 2 rischia di partire con una maggioranza diversa da quella che lo ha fatto nascere a luglio.
La verità è che i sei mesi necessari (una tempistica assurda) per votare e insediare la nuova Commissione europea sono stati, in questa fase della Storia, un tempo infinito in cui sono cambiati gli equilibri mondiali e quindi anche quelli europei. Anche nel voto di giugno le destre erano molto cresciute, ma non abbastanza da avere la maggioranza rimasta saldamente in mano ai Popolari. Il voto americano e la vittoria di Trump – e ancora prima la crisi francese, la crescita delle destre in Germania e in Austria – hanno disegnato il nuovo ordine (o disordine) mondiale. Questo obbliga l’Europa a fare presto e a fare bene.
Von der Leyen si è mossa cercando di coinvolgere l’unica destra “accettabile” da un punto di vista europeista, quella di Giorgia Meloni che di Ecr è anche la presidente, e ha così affidato la vicepresidenza esecutiva a Fitto. Per i Socialisti è stato un tradimento. Per i Verdi una coltellata. In Italia hanno giocato un ruolo decisivo, da veri padri fondatori dell’Unione euro-pea, il presidente Mattarella e gli ex premier Prodi e Monti.
L’EUROPA DI URSULA E IL FRONTE ITALIANO
Vedremo cosa succederà il 27 mattina nel voto segreto della plenaria. Le dichiarazioni di ieri lasciano intendere che sarà un voto a maggioranze variabili, così come von der Leyen intende connotare il suo secondo mandato per non restare impigliata nei veti dei 27 a ogni decisione importante. E saranno molte, nei prossimi mesi, le decisioni da prendere.
Il Pd, non tutto, voterà Fitto probabilmente spaccando il Pse. Ieri il responsabile esteri del Pd ha puntato il dito sul fatto che è Fitto ad aver cambiato “campo” e opinione e non i socialisti. «Auguriamo buon lavoro a Raffaele Fitto con l’auspicio che possa dimostrarsi un Commissario europeo migliore di quanto lo sia stato come ministro, e ribadiamo la necessità di impegnarsi per un progetto di integrazione europeo che chiuda le porte a ogni forma di nazionalismo» ha avvertito Provenzano (Pd).
NARDELLA (PD): ATTENTI AGLI ANTIEUROPEISTI
L’ex sindaco di Firenze, Dario Nardella, vede tutti i pericoli di questa situazione: «Ogni direttiva o regolamento da approvare saranno un test di tenuta politica di questo patto». E fa un appello già per il voto del 27: «Se il collegio passa con pochi voti di scarto e con il blocco di centrosinistra diviso, facciamo un favore agli antieuropeisti come patrioti e conservatori, a Matteo Salvini, Marine Le Pen, Viktor Orbán, che vogliono mostrare all’opinione pubblica la debolezza delle istituzioni europee per tornare al dominio delle nazioni anteguerra. Non possiamo permetterci di fallire questo passaggio cruciale».
Appello che Sinistra e Verdi non hanno intenzione di ascoltare. Mentre i Fratelli avvertono: «Noi voteremo Fitto e anche la commissione von der Leyen». La Lega voterà Fitto e non la Commissione. E però sia FdI che Lega votarono contro le nuove cariche europee. appena tre mesi fa.
Maggioranze variabili. Doppio forno. Chiamatelo come volete. Per farlo funzionare serve una guida forte e autorevole. Servono risultati in fretta. Altrimenti sarà un naufragio. Mentre Putin e Trump mangiano pop corn. L’interessato tace. «In fondo – dice Michele Emiliano, pugliese come Fitto, i due conoscono bene – Raffaele è un vecchio democristiano»
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