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L’ultimo quarto di secolo di storia istituzionale italiana è stato segnato da prove di potere e continui blitz delle regioni per sottrarre competenze a Stato e Comuni. Con un crollo della qualità dei servizi collettivi
Anche nel turno odierno di elezioni regionali, che hanno coinvolto Umbria ed Emilia Romagna, non si è raggiunta la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto che si sono recati alle urne.
Se ne parlerà per qualche ora, e poi il tema cadrà nell’oblio. Mentre tutti i commenti riguarderanno gli esiti dei voti espressi, e le conseguenze sul quadro politico nazionale.
Insomma ormai è considerato normale che una minoranza di cittadini voti per decidere il governo di una regione, e che tutto questo sia pienamente legittimo. Sappiamo invece che un referendum abrogativo, perché sia considerato valido, deve portare alle urne là maggioranza assoluta degli aventi diritto. Negli ultimi decenni si è fatto molto clamore sulla crisi dell’istituto referendario abrogativo, dal momento che nella larga maggioranza dei casi, con l’eccezione della consultazione sull’acqua pubblica, non ha raggiunto il quorum, e quindi la votazione è stata invalidata.
Per le elezioni politiche sui territori ormai comincia a essere eccezione il caso in cui si raggiunge la maggioranza assoluta degli aventi diritto che si reca alle urne. Ma non si leva ancora alcuna voce per analizzare almeno cosa sta accadendo nel nostro Paese. La delegittimazione degli istituti democratici sta allargandosi a macchia d’olio. Come dice Pierluigi Bersani con una colorita ed efficace espressione, stiamo avanti con i lavori.
LA NASCITA DELLE REGIONI E L’ALLARGAMENTO DEI POTERI
Fino a quando possiamo assistere ad un crollo della partecipazione popolare alle elezioni locali, ed in particolare alle consultazioni regionali senza mettere in campo una iniziativa per frenare questo inverno elettorale? Forse, dobbiamo anche interrogarci sulla tenuta del modello istituzionale che si è venuto a costruire nel tempo. La nascita delle regioni a statuto ordinario negli anni Settanta del secolo passato è stata seguita da una progressiva presa di possesso di compiti gestionali. Quando invece le regioni erano state concepire come organismi di programmazione. Sanità e trasporti locali sono materie sostanzialmente acquisite nella sfera di decisione amministrativa regionale. Inoltre l’intermediazione ed il governo dei fondi dalla Unione Europea ai territori viene orientata in modo sostanziale dalle Regioni, dopo una negoziazione sui valori complessivi con lo Stato.
La riforma del Titolo V nel 2001 e l’autonomia differenziata nel 2024 sono state le due gocce che hanno fatto traboccare il vaso. Tentata la spallata decisiva per alterare in modo irreversibile l’equilibrio costituzionale tra le istituzioni. Finora la manovra non è riuscita per effetto della recente decisione della Corte. Questa ha espresso con chiarezza i paletti entro i quali possono essere trasferite funzioni alle Regioni: dimostrazione caso per caso della sussidiarietà e salvaguardia del principio intangibile della eguaglianza.
L’ultimo quarto di secolo di storia istituzionale italiana è insomma segnato da continui blitz delle regioni che hanno operato per sottrarre competenze sia allo Stato sia ai Comuni. Quale è il risultato per i cittadini? Migliori servizi, maggiore efficienza, capacità di programmazione per il futuro? Assolutamente no. La qualità dei servizi collettivi è andata a picco da quando le regioni hanno guadagnato spazi di maggiore potere. Che poi non sono stati spazi di assunzione di responsabilità.
IL CROLLO DI PARTECIPAZIONE AL VOTO NON STUPISCE
Dentro questo quadro non ci si può certo stupire del crollo di partecipazione al voto, confermato anche dalle elezioni in Emilia Romagna ed in Umbria. Andrebbe aperta una discussione pubblica sui risultati che si sono determinati a seguito della istituzione e dell’allargamento dei poteri da parte delle regioni.
Prima di procedere ad una seconda tornata per tentare di realizzare l’autonomia regionale differenziata, probabilmente dovrebbe essere messa in dubbio la stessa esistenza della istituzione regionale. L’architettura dei poteri oggi sta determinando una devoluzione di responsabilità dallo Stato alla Unione Europea, mentre si sono ristretti gli spazi di autonomia dei Comuni. In tutti gli interstizi che si sono aperti, si sono infilate le Regioni che hanno avviato una azione di erosione istituzionale. Di cui oggi vediamo pienamente gli effetti
Servono ancora le regioni? Il crollo della partecipazione democratica al voto apre questo interrogativo che non può restare senza risposta.
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