La copertina del libro
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Il 19 novembre esce “Una cosa sola”, il nuovo libro di Nicaso e Gratteri che spiega i legami sempre più stretti tra mafia e potere
“Una cosa sola”. Fa venire in mente la celebre frase, che Michael Corleone pronuncia nel Padrino rivolgendosi a un senatore, il titolo del nuovo libro scritto dallo storico Antonio Nicaso (LEGGI L’INTERVISTA) e dal magistrato Nicola Gratteri, che ripercorrono come le mafie si siano integrate al potere, stabilendo legami così forti da diventare appunto una cosa sola. “Siamo due facce della stessa ipocrisia”, dice Al Pacino nel capolavoro di Francis Ford Coppola, che altro non è che una trilogia del potere, a cui peraltro il professor Nicaso, insieme a uno dei suoi più brillanti allievi, Rosario Giovanni Scalia, ha dedicato uno dei suoi più affascinanti libri.
Il nuovo libro di Gratteri e Nicaso, in uscita il prossimo 19 novembre e destinato a diventare un best seller per l’efficacia comunicativa che accompagna il rigore documentale, risalendo alle origini del potere della mafia arriva ai giorni nostri e spiega come le mafie siano diventate più forti, pur sparando sempre meno, essendo ormai penetrate nei mercati finanziari e nella politica al punto da divenire «componente strutturale del capitalismo globale». Ciò grazie anche alle più avanzate strategie di reinvestimento dei capitali illeciti e alla capacità di cogliere le opportunità di fondi pubblici come Pnrr e Recovery Fund.
RIFORME NECESSARIE
E mentre l’interconnesione tra mafie e potere politico ed economico è sempre più persistente, la politica italiana, dalla riforma Cartabia in poi, non mostra progressi significativi nella lotta alle organizzazioni criminali. Ma a complicare le cose è la riforma Nordio.
«Che necessità c’era di abolire l’abuso di ufficio? Che senso ha proporre la separazione delle carriere se a chiedere di passare dalla magistratura requirente a quella giudicante è solo l’1 per cento dei magistrati? Perché si continuano a mettere in discussione le intercettazioni, quando è noto a tutti che, a volte, una o due indagini riescono a garantire abbastanza risorse, attraverso sequestri e confische, per coprirne i costi?», sono gli interrogativi in piedi. Invece, sarebbe necessario un aggiornamento dell’articolo 416 bis del codice penale «per affrontare le nuove evoluzioni delle organizzazioni mafiose». Ma le riforme sono rimaste in sospeso e si rischia di aggredire le mafie con strumenti giuridici non più attuali.
FORME MUTE
Proprio per la delocalizzazione dei propri affari e le più complesse e sofisticate forme di intimidazione che implicano il venir meno della violenza immediata, i due studiosi riflettono su quelle “forme mute” di mafiosità che dovrebbero imporre un approccio diverso e multidisciplinare. Il riferimento è sia al gap legislativo che cognitivo. Gratteri e Nicaso stigmatizzano la mancata armonizzazione normativa tra i Paesi europei, compresa l’Italia, poiché «una classe politica efficiente dovrebbe adottare una nuova direttiva sulla criminalità organizzata per sostituire la vecchia decisione quadro del 2008», per esempio classificando come reati gravi «tutti quei fatti che esprimono il modo di operare tipico delle mafie in questo momento storico», come l’illecita concorrenza mediante violenza o minaccia. Oppure adeguando la regolamentazione delle intercettazioni e dei più moderni strumenti di captazione delle comunicazioni.
‘NDRANGHETA EGEMONE
Lo storico delle organizzazioni criminali e il procuratore di Napoli si soffermano, con particolare vigore, sul ruolo egemone della ‘ndrangheta, tra le mafie italiane quella più potente e tra le più potenti al mondo, Non solo per la capacità di spostare investimenti ma anche perché in grado di replicare le proprie strutture organizzative al di fuori dei territori di origine. Tra le 821 reti criminali censite da Europol, poche hanno lo spessore della ‘ndrangheta, che ha rapporti con narcos sudamericani e clan albanesi, ricicla i proventi del narcotraffico in attività immobiliari e commerciali, ristoranti e hotel, e si avvale di hacker capaci di estrarre criptovalute reinvestite in piattaforme commerciali all’estero.
HACKER E CLAN
Chi combatte le organizzazioni criminali non può non tener conto di quanto siano tecnologicamente avanzate. Per esempio nel settore finanziario. Non mancano i riferimenti, tra gli altri, ad alcuni elementi della maxi inchiesta che portò un anno e mezzo fa all’operazione Glicine-Acheronte, da cui emerge che un hacker tedesco, a colloquio con un esponente di vertice della cosca Megna di Crotone, interloquiva su codici offshore e di copertura attraverso i quali sarebbe stato possibile lucrare sugli interessi, ammontanti a oltre 40 milioni di euro, e controllare l’intera struttura dell’istituto di credito. Ma il salto di qualità è costante. Intercettando i mafiosi, gli inquirenti hanno scoperto che sono esperti di blockchain, fondi sovrani e criptovalute. E che si avvalgono di broker che con un clic vendono carichi di cocaina mentre sono ancora in mare.
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Citando i numeri dell’operazione “Emma 95”, condotta dalla gendarmeria francese nel 2020 (800 persone arrestate e oltre dieci tonnellate di droga sequestrate), ma anche dati e cifre di altre maxi inchieste svolte da squadre investigative comuni, i due autori riflettono sulla capacità delle organizzazioni criminali, e in particolare della ‘ndrangheta, di dotarsi di sofisticati sistemi di comunicazione crittografata, che le forze dell’ordine di altri Paesi sono riusciti a decifrare violando i server e accedendo a milioni di messaggi.
DISTRAZIONI ITALICHE
Un settore, quello degli smartphone ultraprotetti, particolarmente vivace anche se finora è stato possibile violare soltanto quattro sistemi (EncroChat, SkyEcc, Anøm e Ghost). Ecco perché «sarebbero necessarie riforme normative adeguate con l’acquisizione di strumenti tecnici avanzati». Sferzanti le bacchettate per le “distrazioni italiche” per i mancati sforzi tecnologici nel contrastare le nuove sfide che si giocheranno sempre più spesso nel dark web, nel metaverso, in ambienti digitali meno conosciuti.
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