Il luogo dell'omicidio
2 minuti per la letturaDiventano definitivi tre ergastoli per la cosca Bagnato di Roccabernarda nel processo per l’omicidio di Rocco Castiglione
ROCCABERNARDA (CROTONE) – La Corte di Cassazione ha confermato, facendole divenire definitive, tre condanne all’ergastolo per l’omicidio di Rocco Castiglione e il tentato omicidio del fratello Raffaele. La massima pena, ossia i tre ergastoli per l’omicidio Castiglione, è stata disposta per il boss Antonio Santo Bagnato, Antonio Marrazzo e Antonio Cianflone. Passa in giudicato anche la condanna a 21 anni e 8 mesi di reclusione per Michele Marrazzo. Da rideterminare la pena per il pentito Domenico Iaquinta in seguito alla prescrizione di alcuni reati. Non cambia molto rispetto al secondo grado. In primo grado era uscito di scena Gianluca Lonetto, “scagionato” dallo stesso collaboratore di giustizia. Regge, dunque, la ricostruzione, fatta dai carabinieri e dalla Dda di Catanzaro, del fatto di sangue del maggio 2014. Gli imputati erano difesi dagli avvocati Francesco Calzone, Sergio Rotundo, Antonio Marrazzo, Luca Cianferoni, Antonio Lomonaco.
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I FATTI CHE HANNO PORTATO ALL’OMICIDIO I ROCCO CASTIGLIONE E QUINDI AGLI ERGASTOLI
Bagnato sarebbe stato l’ideatore, gli altri esecutori suddividendosi compiti di vedetta, trasportatori di armi, autisti e killer. Il commando utilizzò tre fucili. I colpi raggiunsero la vittima in più parti del corpo mentre transitava su un fuoristrada Mitsubishi “Pajero” in una strada di campagna. L’aggravante mafiosa era contestata in quanto la famiglia Castiglione risultava non allineata alla cosca Bagnato e il delitto è maturato in un contesto di ‘ndrangheta.
I PENTITI
Il pentito Iaquinta ha raccontato che per «ragioni di potere» il capo bastone di Roccabernarda avrebbe deciso l’eliminazione di Castiglione, ma il primo tentativo di agguato, dopo una serie di appostamenti nella località Fondo Vallo, dove erano state pure portate le armi custodite da Bagnato in casa sua, sfumò perché Castiglione non passò. A quel punto l’organizzatore dell’agguato, indicato dal pentito in Salvatore Marrazzo, ideò un nuovo piano. Marrazzo, Iaquinta e Cianflone si diedero appuntamento nel terreno di quest’ultimo, narra il pentito. Movimenti provati e riprovati con un Apecar per una settimana.
Quindi, ricollocate le armi – «tre fucili» – fornite da Bagnato sul posto, al terzo tentativo l’attentato fu eseguito. Di recente si è aggiunto il contributo di un nuovo collaboratore di giustizia, Tommaso Rosa, che prese parte alle riunioni preparatorie e svolse il ruolo di palo. Non fece lo squillo per avvertire il commando perché la vittima predestinata non era da sola, ma i killer entrarono in azione comunque, contrariamente a quanto era stato deciso.
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