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Autonomia differenziata, per il decreto spacca Italia arriva l’ora della verità: da oggi la Camera di consiglio per l’esame dei ricorsi; Lega in pressing sulla consulta


Lo Spacca-Italia è entrato nel vivo e già si fanno sentire i suoi effetti collaterali. A partire da oggi (13 novembre 2024) la Camera di consiglio dei giudici della Corte Costituzionale inizierà infatti l’esame dei ricorsi presentati da quattro regioni contro l’Autonomia differenziata. Questo, mentre in contemporanea sono atterrati sul tavolo degli Ermellini i controricorsi di altre 4 regioni. Nord contro Sud. Come volevasi dimostrare. La sentenza potrebbe non arrivare in tempi rapidi, (entro la metà di dicembre, si dice). Ovvero quando al vaglio della Cassazione ci sarà la valanga di firme raccolte questa estate sui quesiti referendari. Se la legge Calderoli venisse dichiarata incostituzionale – anche solo in parte – la decisione potrebbe pesare sul referendum. L’ultima parola sull’ammissibilità dei quesiti referendari, dopo il vaglio delle firme in Cassazione, spetterà in ogni caso, entro il 20 gennaio, alla Consulta.

Fin qui il groviglio giudiziario nel quale il Paese si è infilato. Con perfetta scelta di tempo – 24 ore d’anticipo sul calendario della Consulta – il ministro leghista ha convocato i governatori “amici” per iniziare la cosiddetta “trattativa” che in realtà, è solo una gentile concessione del governo Meloni per compiacere i rigurgiti secessioni del Carroccio.
Il pressing sui giudici è già iniziato. L’accordo di massima tra il padre del Porcellum Calderoli e i presidenti di Piemonte, Liguria, Lombardia e Veneto è già siglato. Manca solo qualche correttivo. Un modo per mettere le mani avanti. Con la “devoluzione” della Protezione civile, la prima materia non Lep, i sostenitori dell’autonomia differenziata hanno già incassato una mezza vittoria. “Mezza” perché, come era facile prevedere, non verranno cedute tutte le funzioni ma solo quelle a carattere regionale. Per cui, come ha chiesto e ottenuto il ministro Musumeci, che ha una delega sulla materia, continuerà ad esserci una Protezione civile nazionale e una Protezione civile regionale. Un’emergenza condivisa. Un caos che cambierà ben poco.

Grande insomma è la confusione sotto questo cielo (Confucio). E siamo solo all’inizio. Se si andrà avanti su questa strada il conflitto Stato-Regioni sarà una costante della nuova Italia federalista.
La Consulta ha ritenuto ammissibili anche i contro-ricorsi ad opponendum delle Regioni del Nord. E tanto è bastato perché Luca Zaia intonasse i primi peana. “Con questa decisione, – ha commentato il presidente della Regione Veneto – è stato riconosciuto l’interesse del Veneto a difendere la legge sull’Autonomia e il diritto a vedere rappresentate le sue ragioni nel processo. È un passaggio importante perché da subito abbiamo sostenuto che la legge sull’Autonomia differenziata è una norma che deve essere difesa nella consapevolezza che rappresenta l’avvio di un nuovo corso per il nostro Paese”.
Zaia è partito in quarta. Oggi presenterà il suo nuovo libro dove si sostiene che fermare l’ad vorrebbe dire danneggiare il Veneto. Da qui la necessità di chiedere l’applicazione della legge e avviare il previsto negoziato prima che i giudici si esprimano.
Lo scenario che si va definendo è lo scontro frontale. Un clima destinato ad arroventarsi e ad esercitare una pressione sui giudici che dovranno decidere. La campagna di delegittimazione della magistratura è già partita.

Francesco Marone, professore ordinario di diritto costituzionale presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, intervendo all’udienza pubblica al Palazzo dellla Consulta, ha usato parole chiare. Durissime: “Riteinamo che il modello dell’art. 116 comma 3 non sia quello immaginato dal legislatore – ha spiegato – la Costituzione ha ritenuto che per ragioni particolari si potesse riconoscere qualche forma di autonomia anche alle regioni a statuto ordinario, ha ritenuto cioè che qualora dovessero insorgere esigenze specifiche ad un’altra regione, non individuata come regione ad Autonomia speciale, non c’è bisogno di una riforma costituzionale, ma è sufficiente, previa intesa, una legge approvata dal Parlamento a maggioranza assoluta. Questo è il modello e non quello di un indiscriminato trasferimento di materie, quasi come se la riforma costituzionale del titolo V dovesse avvenire per tempi successivi e non tutta insieme”.
“Da questo punto di vista – ha aggiunto – sarebbe sufficiente inserire all’art. 2 comma 1 della legge impugnata la specificazione per cui l’atto di iniziativa deve essere motivato rispetto alle specificità del territorio e non semplicemente non motivato come oggi prevede la legge”. “Qual è la ratio della legge? – si è chiesto il giurista – Se l’art. 116 comma 3 è auto applicativo e le regioni avevano avviato il percorso e siglato delle intese, allora perché il Parlamento ha ritenuto necessaria la legge 86 del 2024?”.
Domande alle quali difficilmente il nuovo libello del governatore veneto darà una risposta.

In questi giorni il “doge”, come i veneti chiamano Zaia, è molto preoccupato. Perché se da una parte ha gioito per la vittoria di Donald Trump, dall’altra teme che il tycoon tenga fede al suo programma e applichi i dazi. Come ha notato il professor Massimo Villone, il protezionismo Usa arrecherebbe un danno notevole alle nostre esportazioni. In particolare i vini e il pregiato prosecco prodotto in quantità industriale dalle nostre colline verrebbe penalizzato. Se a questo aggiungiamo che una delle materie che i governatori del Nord chiedono di poter gestire in autonomia è proprio il commercio con l’estero, ecco spiegato il malumore del rettore di Palazzo Balbi.
Mai come ora l’unica risposta alla minaccia dei dazi trumpiani è una trattativa che si svolga a livello europeo. Una Ue che parli con una voce sola e faccia se occorre anche la voce grossa. In passato, quando Trump fece lo stesso durante il suo primo mandato, i paesi europei si mossero in ordine sciolto. Ognuno intavolando una sua trattativa sperando in un trattamento di favore dal parte dell’allora capo della Casa Bianca. E fu un fallimento perché The Donald non fece sconti a nessuno. Figuriamoci se a farsi avanti per negoziare fossero le nostre “ambasciatine”. Se il progetto è questo si consiglia di controllare il tasso alcolico di chi lo propone.


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