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La piazza di Brescello

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‘Ndrangheta al nord, la Dda di Bologna chiede il processo per il sistema Brescello. Sotto accusa due ex sindaci e esponenti della cosca Grande Aracri di Cutro


CUTRO – «Il contributo che fornivano consisteva nello svolgimento degli incarichi e del mandato ricevuti tutelando gli interessi del sodalizio mafioso o di alcuni esponenti anche di vertice, così rafforzando la consorteria mafiosa e consentendone l’affermazione e l’espansione sul territorio di Brescello e non solo». Lo scrive la sostituta procuratrice della Dda di Bologna Beatrice Ronchi nella richiesta di rinvio a giudizio e quindi il processo per 12 persone, tra le quali due ex sindaci di Brescello, Giuseppe Vezzani (in carica dal 2009 al 2014) e Marcello Coffrini (dal 2014 al 2016), accusati di concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti della consorteria di ‘ndrangheta, da tempo stanziata in Emilia, capeggiata da Francesco Grande Aracri, fratello di Nicolino, il boss ergastolano di Cutro. L’udienza preliminare è fissata per il prossimo 11 dicembre.

‘NDRANGHETA AL NORD CHIESTO IL PROCESSO, TENTACOLI SUL COMUNE DI BRESCELLO

 Prima dell’avvento dei Grande Aracri, Brescello era nota più che altro perché Guareschi vi ambientò la saga di Peppone e don Camillo. La narrazione è ormai cambiata. I due esponenti Pd, già ritenuti responsabili dello scioglimento (il primo in Emilia) per infiltrazioni mafiose del Comune per la continuità amministrativa dei loro mandati, devono ora difendersi anche da gravi rilievi penali, come quello di aver favorito il clan non adottando iniziative di contrasto a fronte di abusi edilizi accertati e occupazioni demaniali. Ma anche consentendo l’affidamento di lavori pubblici a ditte del clan «in palese contrasto con il Codice degli Appalti pubblici e della procedura di selezione». Assegnando immobili e incarichi e appoggiando pratiche amministrative in favore degli affiliati o di personaggi loro contigui.

Inoltre, avrebbero contribuito a diffondere un’immagine di Francesco Grande Aracri e dei suoi accoliti quali «soggetti puliti e per bene da integrare nel contesto della vita civile, imprenditoriale e amministrativa del Comune di Brescello, negando esplicitamente e pubblicamente il problema della esistenza della ‘ndrangheta su tale territorio o comunque minimizzando consapevolmente il problema, pur a fronte di provvedimenti definitivi di condanna, di provvedimenti di prevenzione e di sequestro antimafia e delle interdittive antimafia del prefetto di Reggio Emilia». Ciò al fine di «garantirsi e garantendosi nel tempo (con radici già nel mandato precedente a quello del 2004), con un tale sistematico agire, l’appoggio del bacino di elettori (non solo calabresi) controllati dal sodalizio ‘ndranghetistico emiliano». Un “sistema”, dunque, o presunto tale, quello per il quale la Dda di Bologna chiede il processo.

‘NDRANGHETA A BRESCELLO, GLI IMPUTATI PER CUI SI CHIEDE IL PROCESSO

Sotto accusa, oltre ai due ex sindaci, anche Rosita e Salvatore Grande Aracri (figli di Francesco, le cui figure erano già emerse nel processo Grimilde), Claudio Bologna, Giuseppe Caruso (l’ex presidente del consiglio comunale di Piacenza originario di Cosenza), Albino Caruso, Paolo Pucci, Devid Sassi, Pascal Varano, Mauro Usuardi  e Leonardo Villirillo, commercialista di origini cutresi che compare spesso nei processi alla cosca Grande Aracri come uno dei colletti bianchi organici al clan.

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Non c’è soltanto l’intervista, ormai famosa, alla web tv Cortocircuito, associazione culturale antimafia di Reggio Emilia, che stava realizzando un documentario sul radicamento della ‘ndrangheta nel territorio emiliano, nel corso della quale Coffrini definiva Francesco Grande Aracri come «molto composto, educato, (uno) che ha sempre vissuto a basso livello» e sembrava negasse il fenomeno. «È gente normale che non fa niente di che, niente di particolare, come vedete non c’è niente di strano».

Non c’è soltanto il fatto che lo studio legale di Coffrini, noto avvocato amministrativista, dalla fine degli anni Novanta fino al 2006, avesse difeso, dinanzi al Tar della Calabria (Sezione di Catanzaro), Francesco Grande Aracri e i suoi fratelli e sorelle per la vicenda degli immobili nel parco archeologico di Capo Colonna, a Crotone, costruiti abusivamente in zona inedificabile, con vincolo idrogeologico preesistente all’edificazione, dei quali è stata ordinata la demolizione dopo un tortuoso iter. E non ci sono soltanto i protocolli di legalità a quanto pare rimasti carta straccia e firmati anche dal Comune di Brescello in seguito all’escalation della ‘ndrangheta in Emilia acclarata da sentenze definitive a raffica. L’accusa contesta fatti specifici.

IL QUARTIER “CUTRELLO” E I FAVORI AL CLAN

Per esempio, i due ex sindaci avrebbero appoggiato la variante al Prg, riguardante il cosiddetto quartiere “Cutrello”, in particolare la via Alberotto e la via Pirandello, dove abitavano Alfonso Diletto, Francesco e Rosario Grande Aracri. «Senza alcuna reale motivazione veniva trasferita capacità edificatoria da un lotto ad un altro consentendo tra l’altro all’abitazione di Diletto di godere di un’area confinante non edificabile». I proprietari dei lotti destinatari della capacità edificatoria e divenuti ad uso residenziale, rappresentati da Rosario Grande Aracri, erano Francesco Muto, ritenuto “sodale”, e alcuni parenti dei “sodali” Nicolino Sarcone e Alfonso Diletto e dello stesso Rosario Grande Aracri.

I permessi di costruire sarebbero stati rilasciati in assenza della necessaria documentazione ed istruttoria e presentavano numerose anomalie e lacune. Vezzani, poi, avrebbe tollerato un’occupazione abusiva da parte di Francesco Grande Aracri mediante il deposito di mezzi d’opera e attrezzi vari per l’edilizia nonostante segnalazioni dei vigili urbani e denunce dei carabinieri. Coffrini, invece, a un cognato di Rosario Grande Aracri avrebbe consentito un intervento edilizio difforme rispetto al progetto in zona paesaggisticamente vincolata. I due ex sindaci al pregiudicato Giuseppe Pucci, cognato di Francesco Grande Aracri, avrebbero consentito di ottenere un alloggio popolare. Scorrendo la fitta serie di accuse, balza all’attenzione anche l’affermazione di Vezzani che dava della “leghista razzista” a Catia Silva, ex segretaria locale della Lega Nord e parte offesa nel processo Grimilde, negando le minacce da lei subite e acclarate peraltro da condanne.

‘NDRANGHETA E SISTEMA BRESCELLO A PROCESSO: LA VARIANTE AL PRG

Ma veniamo agli affari. Nella serie di accuse, c’è anche la variante al Prg che consentì, previa distruzione di edifici preesistenti, la costruzione di un supermercato da parte della Gruppo L.B. Immobiliare srl che aveva tra gli amministratori Francesco Le Rose, cognato di Francesco Grande Aracri e condannato con quest’ultimo in via definitiva per estorsione. Un’operazione da oltre 700mila euro. Vezzani, inoltre, avrebbe consentito che una parte dei lavori per la realizzazione della nuova sede dell’Avis avvenisse in assenza di procedure di evidenza pubblica e che fossero assegnati alla Eurogrande Costruzioni srl di Francesco Grande Aracri, appena scarcerato (siamo nel luglio 2010) dopo aver scontato la condanna nel processo Edilpiovra per associazione mafiosa quale esponente di vertice del sodalizio ‘ndranghetistico emiliano.

Sempre Vezzani avrebbe assunto persone contigue al sodalizio e stretti parenti di esponenti della consorteria mafiosa come lavoratori dipendenti a tempo determinato o come prestatori di attività assimilabili al lavoro dipendente. La figlia di Francesco Grande Aracri, Isabella, fu assunta all’interno del servizio Assetto e Uso del Territorio, secondo l’accusa depotenziato e non operativo, nonostante fosse «chiamato ad occuparsi, tra l’altro, di vari abusi edilizi commessi anche da parenti della dipendente», come è detto nella sentenza del CdS.

LE INTERDITTIVE

C’è anche il capitolo interdittive. Coffrini citava il caso della nota impresa Bacchi in un’intervista e, pur ammettendo «fatti che possono essere sicuramente connotati come gravi», sosteneva che lo strumento di prevenzione aveva comportato che «un’azienda che dava da lavorare a più di cento persone» era stata ridotta a «piccola azienda», con «un grosso colpo all’economia locale». Secondo il pm, si trattava di un tentativo di «delegittimare l’operato della prefetta Antonella De Miro, simbolo della lotta contro la ‘ndrangheta a Reggio Emilia». Quella contro cui si scagliò la super cosca, poi finita al centro del processo Aemilia. Tanto da elaborare una strategia mediatica per frenare la prefetta di ferro che, appunto con le interdittive, stava bloccando le imprese di riferimento del clan.

RICICLAGGIO A MALTA

Mauro Usuardi, Salvatore Grande Aracri, Claudio Bologna, Leonardo Villirillo, Pascal Varano e Giuseppe e Albino Caruso sono accusati di riciclaggio mediante il trasferimento di denaro alla società italo-maltese Maloa, impegnata nel commercio di prodotti petroliferi. I referenti della società avrebbero compiuto ingenti truffe per i diritti di accise non versati. Una serie di passaggi di denaro avrebbero avuto la finalità di ostacolare l’identificazione della provenienza illecita.

LA CASA MADRE

Infine, Rosita Grande Aracri è imputata di associazione mafiosa poiché avrebbe partecipato alle riunioni della consorteria svolgendo il ruolo di portavoce del padre e ne avrebbe eseguito le direttive esercitando per un decennio il ruolo di prestanome nella titolarità della Eurogrande, in affari con la ‘ndrangheta e finanziata con risorse di provenienza ignota. Inoltre, avrebbe mantenuto i contatti con la casa madre recandosi più volte nel bunker di famiglia di contrada Scarazze, a Cutro, nell’abitazione del boss. Salvatore Grande Aracri e Devid Sassi, inoltre, sono accusati di usura nei confronti di un imprenditore edile. Paolo Pucci risponde di minacce di morte a due persone che avevano testimoniato contro la cosca Grande Aracri nel processo Grimilde. «Infame… presto morirai».

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