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L’operazione Levante fa luce su un’organizzazione dedita al traffico di migranti, agli arresti irakeni, afghani, pakistani e bengalesi
CROTONE – Un’organizzazione criminale che predisponeva viaggi clandestini di migranti, prevalentemente dalla Turchia alla Grecia, verso le coste calabresi e che si occupava anche di far giungere i disperati in città del Nord Italia e di far loro oltrepassare il confine, espatriandoli in Francia e avvalendosi di passeurs attraverso la frontiera di Ventimiglia: è quella su cui la Dda di Catanzaro e i militari del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Crotone e dello Scico ritengono di aver fatto luce.
L’OPERAZIONE LEVANTE, GLI ARRESTI PER TRAFFICO DI MIGRANTI
Operazione “Levante”, l’hanno chiamata, quella che ha portato all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per 13 persone firmata dalla gip distrettuale Arianna Roccia su richiesta del procuratore della Dda facente funzioni Vincenzo Capomolla e del sostituto Paolo Sirleo. Gli indagati sono irakeni, afghani, pakistani bengalesi. Sono accusati di associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina e al riciclaggio poiché nelle casse dell’organizzazione confluiva denaro frutto di proventi illeciti. Per questo la gip ha disposto anche il sequestro di attività commerciali a Roma, Milano e Ventimglia riconducibili ad alcuni degli indagati e utilizzati per i pagamenti tramite money transfer. I fatti ricostruiti dai militari guidati dal colonnello Davide Masucci, comandante provinciale della Guardia di finanza di Crotone, sono compresi in un arco temporale che va dal 2021 al 2023. I viaggi in Calabria potevano costare 15mila euro a persona, a parte i costi per i trasferimenti via terra dalla Calabria.
LE MINACCE
L’inchiesta nasce da una denuncia di minacce presentata da un interprete curdo al quale l’irakeno Andula Mhamed Tahsin, poi risultato tra gli esponenti di vertice della gang transnazionale, rinfacciava di aver fatto arrestare suoi connazionali per traffico di migranti. Proprio monitorando la sua figura gli inquirenti sono risaliti all’organizzazione. Stando a quanto affermava durante le conversazioni intercettate, era impegnato da una ventina d’anni nei traffici.
I GUADAGNI
Diceva, per esempio, che quando era arrivato in Italia era così povero che non poteva comprarsi neanche le sigarette. E sottolineava che in un anno solo, nel 2014, aveva guadagnato 65mila euro grazie a quello che definiva un “lavoro”. Viveva a Crotone, crocevia dell’immigrazione clandestina e sede di uno dei Centri d’accoglienza più grandi d’Europa, quello nella località S. Anna, che fungeva da bacino a cui attingere disperati su cui lucrare. Ma faceva spesso viaggi in Grecia e nelle intercettazioni parlava di tariffari per gli spostamenti dei migranti. Si diceva disponibile ad avviare il suo interlocutore ai traffici in Bulgaria e Serbia, ma lui preferiva “lavorare” in Turchia.
I VIAGGI
L’organizzazione, oltre a ingaggiare skipper e reperire imbarcazioni per i viaggi fino alle coste calabresi, pianificava le partenze dalle province di Crotone e Cosenza (in particolare da Sibari e Castrovillari) con autobus e treni per raggiungere Ventimiglia. Da qui, con taxi, van e camion avvenivano gli spostamenti verso Regno Unito e Germania. I basisti dell’organizzazione in Calabria si occupavano di fornire supporto logistico ai migranti lungo la tratta Crotone-Milano.
HAWALA
Dall’attività investigativa è emerso che i componenti dell’organizzazione erano remunerati attraverso il metodo Hawala. Una forma di trasferimento di denaro che si basa su un circuito clandestino di intermediari che venivano chiamati “uffici”, nelle intercettazioni. Gli “hawaladar” erano dislocati sia in Italia (a Roma, Bologna, Milano e Ventinmiglia) che in territorio turco e irakeno.
PASSAPORTI
Sempre monitorando l’utenza telefonica di Tahsin, gli inquirenti hanno captato conversazioni in cui rivendicava la responsabilità di una serie di sbarchi di migranti avvenuti a Crotone. Sono in tutto dodici quelli contestati. L’uomo, inoltre, disquisiva di passaporti e rappresentava di essere in grado di fornire moduli in bianco utilizzati da organizzazioni terroristiche. Il giro di affari illeciti era soprattutto in Turchia e Grecia. Un lavoro “sporchissimo e stressante”, lo definiva sempre Tahsin. La disponibilità di passaporti falsi in Turchia, in particolare, era enorme. Il costo poteva arrivare fino a 1500 euro a passaporto.
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