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Scotto (Pd) sottolinea le contraddizioni della prossima legge di Bilancio e parla di grossa coalizione sull’autonomia differenziata



Arturo Scotto è il capogruppo Pd in commissione Lavoro alla Camera. Lo abbiamo intervistato dopo il botta e risposta con il capogruppo di Fratelli d’Italia Tommaso Foti che accusava il Partito democratico di fake news: «Foti accusa il Pd di fake news? Evidentemente Elly Schlein ha colto un nervo scoperto della destra. Che non sa nemmeno cosa propone il suo ministro, l’ineffabile Lollobrigida». Ma andiamo oltre e cominciamo dal campo largo dove le polemiche sono sempre all’ordine del giorno.


Perché Conte continua a sfilarsi? La pazienza del PD ha un limite?

«Io sarei per mettere davanti le cose positive. Abbiamo appena depositato una proposta di legge unitaria sulla riduzione dell’orario di lavoro. Firmata dai leader di Pd, M5S e Avs. Presenteremo una mozione unitaria sul futuro di Stellantis, anche con Azione. Nel frattempo siamo impegnati nella raccolta di firme della lip sul salario minimo. E abbiamo costruito una larga coalizione civile politica e sociale contro lo scempio dell’autonomia differenziata. Non nascondo i problemi, ma vedo il bicchiere mezzo pieno. Sono di più le cose che ci uniscono rispetto a quelle che ci dividono. Occorre stringere i bulloni della coalizione progressista perché questa definizione del campo largo come dice Schlein non significa niente. Avremo difficoltà nei prossimi mesi? Tantissime. Anche nelle elezioni locali, dove secondo me dovrebbe sempre prevalere un principio di autonomia dei territori. Ma sulla questione più importante, la lotta per la giustizia sociale e climatica ci sono convergenze inevitabili. Ed è su questo che si vincono o si perdono le elezioni».

Legge di bilancio: Meloni e Giorgetti non la pensano allo stesso modo oppure si tratta semplicemente di gioco delle parti?

«Non vedo divisioni. Semplicemente Meloni e Giorgetti hanno vinto predicando il sovranismo e poi si è acconciata alla dottrina dell’ austerity. Ha firmato un patto di stabilità che impone all’Italia sacrifici enormi per rientrare dal deficit. Alla fine saranno costretti a una politica di tagli e tasse. L’esatto opposto di quello che avevano promesso. D’altra parte se fai venti condoni stai dicendo che le entrate fiscali ti interessano fino a un certo punto. E che la strada che vuoi percorrere è quella dello Stato minimo. Tant’è che faranno macelleria sociale sulla pelle delle persone più fragili. Hanno iniziato con il reddito di cittadinanza, ora metteranno mano sulla sanità e la scuola».

Intanto si continua a parlare di patrimoniale. Ma come si potrebbe attuare in Italia?

«Stiamo al punto: in trent’anni si sono spostati 11 punti di pil dai salari alle rendite e ai profitti. Significa che il ceto medio è entrato in crisi, il mondo del lavoro è stato indebolito, un pezzo di società invece ha accumulato ricchezze enormi. Quindi parlare di un prelievo sui milionari non deve spaventare. L’iniziativa dell’Oxfam e la proposta uscita dal G20 di Rio ad esempio prevede un imposta europea dello 0,1 per cento sui ultraricchi. Recupererebbe qualche decina di miliardi all’anno e sarebbe una prima forma di gettito fiscale su scala continentale da mettere su investimenti pubblici. L’Europa si fa anche così. Ma soprattutto sarebbe un’inversione di tendenza gigantesca dopo anni in cui le classi lavoratrici sono state le uniche a pagare i costi della crisi e i movimenti di capitale invece lasciati liberi come l’aria. Mi viene in mente una frase di Enrico Berlinguer: “Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora, ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l’operazione è destinata a fallire”. Qui ci giochiamo la democrazia: non può reggere un patto sociale se le diseguaglianze sociali sono così enormi. Serve progressività nei prelievi, equità nella distribuzione del carico fiscale: non può esistere che chi paga le tasse fino all’ultimo centesimo siano i lavoratori dipendenti tassati il doppio delle rendite».

Il centrodestra alla fine potrebbe mettere tasse sulla casa…

«Qui siamo davanti a un voltafaccia clamoroso. Sono anni che bloccano qualsiasi riforma del catasto che introdurrebbe un principio di giustizia ed equità e ora fanno cassa sulle case ristrutturate con i bonus. Una scelta che fa il paio con il tradimento sulle pensioni. Avevano promesso di abolire la Fornero, la stanno peggiorando. Compreso il superamento progressivo di opzione donna e di ape sociale. Stanno condannando una generazione ad avere pensioni povere perché stanno spingendo l’Italia nella trappola peggiore: quella della precarietà permanente».

È vero che l’occupazione aumenta ma per lo più si tratta di lavoretti. D’altra parte per l’Istat sei occupato anche se lavori solamente un’ora a settimana…. Non sarebbe ora di cambiare gli indici Istat?

«Non regge affatto. Questo calcolo ci porta sul terreno sbagliato. Abbiamo una generazione a cui vengono promessi solo lavoretti, intermittenza e salari bassi. Se pensiamo che l’Italia possa competere su questo terreno siamo freschi. Per esempio l’ultimo collegato lavoro della Calderone, dopo aver eliminato le causali sui contratti a termine e allargato i voucher, elimina i tetti sui limiti al lavoro in somministrazione nelle aziende, allarga la stagionalità, cronicizza il part-time e incentiva le false partite iva attraverso i contratti misti. Insomma continua a crescere l’occupazione precaria, il part-time involontario colpisce una donna su tre, nel 1985 i giovani under 35 guadagnavano in media il 20 per cento in meno degli over 55, oggi invece e’ il 40, i salari in Italia non hanno recuperato il potere d’acquisto pre pandemia. I dati – qui parla l’Istat, non il Partito Democratico – ci dicono che, tra gli under 35, il 54,2 per cento ha svolto, almeno una volta nella vita, un lavoro a nero; il 61,5 per cento ha accettato un lavoro sottopagato e – sono i dati del 2023 – mentre cresce l’occupazione negli over 55, tra i 24 e i 35 anni è un meno 0,6 per cento, tra i 15 e i 24 anni è un meno 0,5 per cento. Ma aggiungo: di questi under 35, il 43 per cento guadagna meno di mille euro al mese. Il tasso di occupazione giovanile generale ci parla del 34,7 per cento dei ragazzi tra i 15 e i 35 anni occupati, mentre nel resto dell’Unione europea è il 50 per cento. Ebbene, quale dovrebbe essere l’assillo, il tormento, l’urgenza che dovrebbe animare chi come noi ha un ruolo istituzionale? Fermare l’esodo silenzioso: 100.000 ragazze e ragazzi, tra il 2022 e il 2023, che se ne sono andati via. Il Governo sta facendo esattamente l’opposto. Per questo vanno fermati».


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