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Solo una la giornata da bollino nero, per il resto zero code agli imbarchi dei traghetti per lo Stretto: il Ponte quindi è davvero necessario?


Scuse in anticipo per un pensiero assai banale in relazione al Ponte sullo Stretto. Una storia che certe volte ricorda quella scena di “Amici miei” in cui i quattro burloni arrivano in un paese, srotolano le mappe e urlano: “Qui, proprio qui, passerà una superstrada!”, scatenando l’ira della gente. Non siamo molto più avanti, la politica social è quella di far vedere le due torri alte 399 metri là dove oggi c’è una panchina, prati verdi e omìni che passeggiano sul rendering. Ma c’è un dato che mi ha colpito nell’inchiesta pubblicata ieri sul Quotidiano: c’è stato solo un giorno di emergenza all’imbarco di Villa San Giovanni. In tutto il mese di agosto, un solo giorno da bollino nero. È successo il 10, quando gli automobilisti hanno dovuto aspettare quasi un’ora e mezza.

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Quindi un bollino grigio, più che altro: anche in relazione agli ingorghi veri da weekend. O per lavori in corso di cui sono costellate le strade italiane, soprattutto in tempi di Pnrr e di Giubileo. Quindi a Villa (e a Messina) nessuno ha sofferto: il tempo di un paio di arancini, e stavano tutti dall’altra parte.
Inutile aggiungere che in quei giorni il ministro Salvini ha tuonato, dicendo che quelle file erano la prova dell’utilità dell’ormai celebre Grande Opera che non c’è. Evidentemente inutile negli altri 364 giorni. Un ragionamento che dovremmo applicare anche nella vita reale: se fate la fila per un caffè, è la prova che non ci sono abbastanza bar. E che dire dei tunnel? Il Brennero e il San Gottardo andrebbero moltiplicati, sapeste che coda quest’estate.

Ma torniamo a quel 10 agosto: l’emergenza è affrontata con un tavolo congiunto, con amministratori, autorità varie. Alla presenza delle compagnie che operano sullo Stretto in un regime di concorrenza. A occhio, non era mai successo. Questa collaborazione ha prodotto effetti speciali, come la partenza di tre traghetti in contemporanea. Nei momenti caldi, le auto sono state imbarcate sul primo ferry boat utile, senza i soliti buttadentro dei giorni normali. Quindi è possibile accorciare i tempi. Non solo: le abitudini degli italiani stanno cambiando: si va in ferie (e si sta meglio) anche in giugno o in settembre. Ci sono aziende che lavorano a ciclo continuo, c’è lo smart working.

Non dico l’abitante di Torre Faro. Non dico il parroco di Cannitello. E non dico la sindaca di Villa che vedrebbe la sua città spaccata in due da un cantiere per una decina d’anni: ma di certo l’uomo comune a questo punto si fa una domanda. Ma veramente volete spendere tredici miliardi, riempire le spiagge del sud del Sud di detriti, sconvolgere l’ecosistema che attira ricercatori da tutto il mondo per accorciare tempi che non si accorceranno?

A che serve, a chi serve Il Ponte? Chi non ha gli occhi e le orecchie foderate di prosciutto vedrà che cosa è diventato lo Stretto grazie al boom del Porto di Gioia Tauro: una sfilata di portacontainer, il traffico di merci, com’è nella nostra tradizione millenaria. Anche il ruolo di Gioia è a rischio, proprio quando si è trovato un modello per un’area che è il peccato originale della politica (e della mafia) italiana. E la questione ambientale è in cima all’agenda del Pianeta: il trasporto su gomma, lo stesso uso dell’automobile sembrano vicini alla saturazione.

Sono pensierini facili facili: sono sicuro che il peggiore degli ingegneri civili e l’ultimo stagista dell’area marketing hanno tutte le armi per smontarli. Vuoi mettere Melito-Capo Peloro in 58 minuti e mezzo? Il dibattito è benvenuto. Ma se ormai i dati sono in futuro del mondo, i numeri di questa estate all’imbarco di Villa hanno del clamoroso.

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