Pino Daniele
5 minuti per la letturaCROTONE – «Vi presento Paolo Colosimo (NELLA FOTO IN BASSO). Ha soltanto un difetto: è di destra».
È una delle battute fulminanti con cui l’immenso Pino Daniele presentava ai pochi amici di cui si circondava – «era molto riservato e selettivo» – il suo avvocato calabrese. Figlio di un altro grande avvocato, Francesco Luigi Colosimo, nato a Roccabernarda, il noto (anche per il coinvolgimento in alcune inchieste giudiziarie) professionista romano di vip ne ha difesi tanti. Da Gina Lollobrigida a Barbara D’Urso, senza dire dei più grossi imprenditori della Capitale e di famosi calciatori. Ma il rapporto più intenso, tra gli artisti che ha assistito, è quello che ha intrecciato con il bluesman napoletano.
Per una decina d’anni, dal ’96 al 2006, lo ha seguito negli innumerevoli procedimenti in cui un personaggio del calibro di Pino era coinvolto. Dalla nota querelle con Bossi, appellato come “omm ‘e m…..”, sgonfiatasi dopo le eccezioni di competenza da lui avanzate, al dissequestro, ottenuto quasi nell’immediatezza del provvedimento, della villa abusiva di Sabaudia, che tanto fece discutere. A vicende più ordinarie. «Capitava che mi chiamasse pure perché era entrata l’acqua sul terrazzo e temeva che la casa si allagasse», ricorda sorridendo.
Lei era il suo avvocato ma anche un punto di riferimento…
«Una volta, durante un Capodanno a Sabaudia, a casa sua, c’erano Chicco Testa e il ministro Melandri, ma anche Malagò, e disse appunto: “come Agnelli chiama tutte le mattine Giovannino Malagò io chiamo tutte le mattine Paolo Colosimo”. Dico questo per dare un’idea del mio rapporto con lui, che si interrompe all’incirca nel 2006, dopo una decina d’anni, anche per i miei impegni professionali e perché seguire Pino diventava troppo assorbente. Certo, per le questioni più specialistiche ci appoggiavamo a qualche altro avvocato ma per lui ero come un medico di famiglia, da contattare per qualsiasi problematica. Per esempio nel ’96, quando venne al mondo sua figlia Sara, andai io a denunciare la nascita. All’epoca non era ancora sposato con Fabiola Sciabbarrasi, della quale stavo curando il divorzio con un imprenditore romano. Il mio rapporto con Pino nacque proprio perché me lo presentò Fabiola, da lì decollò la nostra amicizia».
Quindi era stato ammesso alla “corte” di Pino Daniele, che era così riservato; com’era durante gli incontri con gli amici?
«Posso dirmi onorato della sua amicizia, perché ritengo di essere stato suo amico, se lui, così riservato e selettivo, mi aveva fatto entrare nella sua ristretta cerchia. Al polso ho un orologio che mi ha regalato lui, lo ritengo un privilegio. Amava ospitare poche persone, tra parenti e amici. E poi esplodeva con la sua passione, quando prendeva in mano la chitarra ci stregava tutti. Ci faceva impazzire, ci metteva gioia, per me è stata un’esperienza fuori dal comune».
Ha conosciuto anche i musicisti della sua band?
«Qualcuno l’ho visto, ma di striscio. Vede, se il mio rapporto professionale con Pino è durato così a lungo è anche per la discrezione a cui mi sono attenuto, non entrando a gamba tesa in altri contesti. E poi lui non era uno che si “mischiava” molto. Passava il giorno in casa a suonare e studiare. In quegli anni la sua vita a Roma era racchiusa in un triangolo. Tra la casa nei pressi di piazza Mazzini, uno studio là vicino e poi uno studio più professionale dove lavorava il figlio Alessandro. Per questo era uno che appariva poco».
Cosa vuol dire “selettivo”?
«Se doveva scegliere un artigiano per dei lavori a casa sua, era capace di fargli l’esame del Dna. Questo anche perché, penso, era molto attento alla sua privacy e a quella dei suoi familiari. Da questo punto di vista era un orso, nel senso buono del termine».
Il contenzioso più eclatante forse è stato quello con Bossi, che gli chiese oltre 500mila euro di risarcimento…
«A fronte delle pretese di Bossi, se la cavò con qualche decina di migliaia di euro, un’inezia. Invece penalmente la vicenda morì in dibattimento dopo una serie di pronunce di incompetenza, prima territoriale e poi per materia. Il procedimento si era incardinato a Sanremo, che mandò gli atti a Roma. Anche se io ho sempre dichiarato che lui quella frase non la pronunciò mai. Ma a me è capitato di assisterlo per tutto. Dalla vicenda della villa, che comunque non fu mai demolita e successivamente al dissequestro fu venduta, al domestico che si licenzia e gli fa causa alla stradina di casa. Ho una stanza piena di carte sue».
Come stava, Pino, in quegli anni?
«Era il periodo in cui era scoppiato l’amore con Fabiola Sciabbarrasi. Alcuni dei suoi pezzi più belli sono nati allora. Capitava che lo andassi a prendere in auto a Sabaudia per raggiungere Roma. Lui non guidava, a causa delle sue patologie. Allora avevo una vecchia Mercedes “Pagoda” che gli piaceva tanto. E mi prendeva in giro: “Paolo, ma tu con questa vai a rimorchiare?”»
Amava l’ironia…
«Era una bomba, quando era in vena. Ma sapeva anche essere molto formale. Una cosa mi colpì molto, per esempio, al ricevimento per il suo matrimonio con Fabiola, dove tutto fu molto formale. C’era l’orchestra sinfonica. Diversamente dal matrimonio della D’Urso, per esempio, dove si faceva baldoria e si ballava».
E i rapporti con le sue mogli?
«Il divorzio con la sua prima moglie, Dorina Giangrande, andò bene, nel senso che abbiamo vinto tutti i ricorsi, che ebbero strascichi fino alla sua morte. Lei era difesa da uno studio tra i più importanti per il diritto di famiglia eppure siamo riusciti a ottenere pronunce che anticiparono di una ventina d’anni l’orientamento della giurisprudenza attuale».
Lei è custode anche del testamento?
«Del primo testamento, che scrisse prima di sposare Fabiola e ormai ha perso efficacia. Lo custodisco in una cassetta di sicurezza. Nessuno me lo ha chiesto. Quando lo faranno lo metterò a disposizione».
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